Stop agli interventi ospedalieri, «Molti anziani sono in pericolo»
MESTRE. «Siamo molto preoccupati, come diciamo da tempo. Osservando i dati della prima ondata del contagio, abbiamo registrato, tra gli anziani, un numero significativo di decessi legati indirettamente al Covid, dovuti all’assenza di cure».
Commenta così Elena Di Gregorio, presidente regionale di Spi Cgil (il sindacato dei pensionati), lo stop, a partire dal 10 novembre, a operazioni programmate e visite specialistiche negli ospedali di tutto il Veneto. Una decisione che già ha fatto tanto discutere presa dal governatore Zaia, per garantire il massimo servizio, in termini di spazi e di personale, ai pazienti Covid, in continuo aumento.
«Nei mesi scorsi abbiamo chiesto alla Regione che facesse di tutto per evitare il blocco dell’attività ordinaria, visto che la sospensione è un dramma nel dramma. Con lo stop delle cure, a risentirne sono soprattutto le persone più fragili che, come sempre, pagheranno il prezzo più alto di questa situazione».
La sospensione dovrebbe durare due - tre settimane - ma tutto è subordinato all'andamento del contagio. La decisione ripete quella già presa durante la prima ondata quando, in tutto il Veneto, erano state bloccate 20 milioni di prestazioni, con successivo intasamento delle liste d'attesa, smaltite (ma solo in parte) con grande difficoltà. Di fronte a questo nuovo “stop” disposto dal governatore Zaia, nel mondo dell’associazionismo i pareri sono discordi.
Parla di decisione dolorosa ma inevitabile Francesco Lorenzon, presidente veneziano di Aido, l'associazione italiana per la donazione degli organi. «Dovendo liberare dei posti letto ospedalieri per le eventuali emergenze dovute al Covid, questi sono i più “sacrificabili”. Purtroppo ce lo impone la pandemia, se vogliamo essere pronti di fronte al possibile picco che potremmo registrare già nei prossimi giorni», la sua valutazione,«l’alternativa potrebbe consistere nell’arrivare impreparati all’emergenza; ma questa, tra le due, è decisamente la soluzione più rischiosa. Per questo è meglio far slittare gli interventi non urgenti, ma che possano essere posticipati, senza mettere a repentaglio la vita della persona».
Gli interventi per i quali da oggi di dispone la sospensione, tuttavia, sono un “mare magnum”. «Mia figlia è malata di tumore, ha il morbo di Crohn, ha subito tre volte un prolasso. Quando il 4 maggio sono state riaperte le attività prima bloccate, è corsa in ospedale per isterectomia», la terribile testimonianza di Marilena Maffei Lazzarini, presidente veneziana della Onlus Amici del cuore. «Ora deve essere seguita, ma nessuno la segue, se non privatamente. E sono tanti soldi che se ne vanno. Lei, inoltre, è immunodepressa, quindi ha giustamente timore di andare negli ospedali. E questa è solo la storia che conosco meglio, affiancata da moltissime vicende che possono essere persino peggiori. Nessuno vuole negare la gravità della situazione che stiamo vivendo, però non è possibile sacrificare le cure di alcune persone, privilegiandone delle altre. Bisognerebbe riuscire a mantenere tutte le attività ospedaliere, separando le malattie per Covid dalle altre. Curando tutti, alla giusta distanza».
In questo quadro, avanza una proposta Tito Livio Peressuti, presidente dell’Avis provinciale: «I chirurghi che non saranno più impegnati nei rispettivi reparti e che non dovessero essere precettati per la cura del Covid potrebbero venire da noi, per darci una mano nei centri trasfusionali. La cosa fondamentale sarà non lasciare “a piedi” le risorse. Però preferisco non entrare nel merito di quanto deciso dal governatore Zaia. È una decisione presa a livello istituzionale e non dispongo delle informazioni necessarie per valutarla». —
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