Su muretti e gradini dei ponti per le lezioni a distanza a Mestre: «Dimostriamo che esistiamo»
MESTRE. Didattica a distanza? No, distanziati e all’aperto. È la simbolica iniziativa lanciata dagli studenti del Liceo classico Foscarini martedì mattinata: una decina di ragazzi, zaini in spalla e mascherina, si sono sistemati lungo la fondamenta Santa Caterina durante l’orario di lezione. Così la classe, da casa, è tornata davanti alla scuola.
«Seduti sul muretto, sulle scale del ponte, con i nostri libri e dispositivi», racconta Marco Gavagnin, che al Foscarini frequenta la seconda liceo ed è coordinatore di Venezia per la Rete degli Studenti Medi. «Vogliamo ricordare che anche dietro uno schermo esistiamo ancora», la rivendicazione.
«Chi chiude le scuole pensa di agire nel concreto per prevenire i contagi senza intaccare l’economia, perché noi studenti non siamo lavoratori. Così nelle sedi decisionali l’istruzione passa in secondo piano, in balia degli eventi». Va sottolineato: la protesta dei liceali non è contro la didattica a distanza. «Che in una situazione di emergenza come questa va accettata. Ma dev’essere svolta all’interno di un programma che garantisca stabilità e chiarezza all’anno scolastico». Finora un grande vuoto.
«È da mesi che cerchiamo il dialogo con Elena Donazzan», l’assessore all’Istruzione per la Regione. «Prima ci ha ignorato e poi ci ha risposto male. Non pretendiamo di avere le soluzioni in mano, ma parliamone tutti insieme». Quindi l’atto dimostrativo, a livello regionale: «Gli studenti si sono organizzati fuori dalle scuole anche a Padova e a Mestre», continua Gavagnin.
«C’era un’atmosfera strana. Sembrava di fare lezione da casa, ma in compagnia. Almeno c’è stata qualche chiacchiera durante la ricreazione: quanto ci mancava». E poi l’incontro coi professori: «Curiosi, mentre uscivano da scuola (al Foscarini sono ancora tenuti a fare lezione dalle classi, ndr). Alcuni ci hanno supportato».
Il messaggio è soprattutto per chi invece è dovuto rimanere a casa ancora una volta: «Come organizzazione continueremo a fare campagne di sensibilizzazione sulle conseguenze psicologiche della didattica a distanza, soprattutto se così confusionaria, in questa situazione di forte chiusura. Noi vogliamo far capire agli studenti che non sono soli».
Ma non lo sono veramente? Mentre a luglio lo stato si preoccupava di riaprire le discoteche, l’istruzione restava un rebus. «Fa rabbia. E poi si dava la colpa a noi giovani se c’erano assembramenti nei locali: troppo facile lamentarsi. Qualcuno ha perso di vista le priorità». Parola di diciottenne: «Purtroppo molti ragazzi hanno avuto comportamenti superficiali. Ma generalizzare, fare i paternalisti, è sempre sbagliato». E in piena seconda ondata, la scuola resta in alto mare. —
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