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Ritorno alla (a)normalità: la vita dopo la pandemia

  • Molte cose non saranno più come prima. Il coronavirus lascerà tracce profonde che stravolgeranno le abitudini future. Quando potremo uscire di casa, le nostre giornate non saranno più le stesse
  • Politica: oltre Giuseppe Conte si intravede già super Mario Draghi
  • Quel che resterà dell'economia italiana
  • Verrà la resa dei conti anche per l'amore

L'approfondimento contiene quattro articoli


di Marco Morello

Non andrà tutto bene, se nel bene cerchiamo la sagoma della nostra compianta normalità. Finché non avremo trovato un vaccino, finché una cura non diventerà disponibile su scala globale e l'ultimo malato sarà guarito, conviveremo con la possibilità di ricadere nell'incubo.

Seppure liberi dalle restrizioni draconiane di questi giorni di clausura, dovremo adottare modelli di comportamento inediti affinché i divieti assoluti non mutino in duri ricorsi storici. Lo preconizza l'Imperial College di Londra, che per il futuro prossimo immagina una proporzionalità diretta tra i posti disponibili in terapia intensiva in ogni nazione e la severità delle norme locali alle quali bisognerà sottostare. Non una curva, plurime curve. «Una serie di salite e discese, ricche di oscillazioni» come ha scritto The New York Times, che paragona il domani a un viaggio in ottovolante. Mezza vita ribaltata, si spera senza troppi giri della morte.

Più saremo verso la saturazione dei letti, più occorrerà tirare il freno: «Al momento l'unica via sostenibile per ridurre la trasmissione sono le misure insostenibili» argomenta l'epidemiologo Adam Kucharski, autore del libro The rules of contagion (le regole del contagio). La sua conclusione è che «il virus circolerà potenzialmente per un anno o due, perciò dobbiamo ragionare in questo orizzonte». Di sicuro, nel frattempo, ci trasformeremo in una «shut-in economy», concetto spiegato dalla rivista del Mit di Cambridge: diventeremo una società con il paracadute, elastica, pronta a chiudersi su se stessa. Senza paralizzarsi, per non crollare finanziariamente e psicologicamente.

Il suo pilastro sarà una recente, detestabile formula: il «social distancing». Concetto errato da un punto di vista lessicale secondo un gruppo di sociologi dell'università della California, che propongono di correggerlo in «physical distancing». Distanza fisica, non mentale: non stiamo cavalcando un improvviso individualismo rampante, piuttosto proviamo a non contagiarci a vicenda. Dunque, no allo struscio di massa nelle strade e alle folle negli spazi chiusi. Vicinanza ragionevole una volta congelati i decreti d'emergenza, con qualche precauzione.

Sarà ammesso viaggiare, tra e dentro i Paesi che avranno spento i focolai (lo insegna la Cina di oggi), all'occorrenza con i posti a scacchiera su treni e arei. L'estate italiana tenteremo di salvarla. Via libera ai bar e ai pub con il servizio al tavolo, come prima dello Stivale in zona rossa, non subito ai club e agli stadi per lo sport e i concerti. La messa sì, seduti a panche alterne. L'eucarestia, come il paradiso di quel vecchio film, può attendere.

Entreremo in una «booking economy», una vita su appuntamento. Un calendario scandito dalle prenotazioni da un catalogo di app: per il barbiere, la palestra, il ristorante, il medico. Esistono già, diventeranno cruciali per gestire i flussi nello stesso luogo. Chi rischia di pagarne il prezzo è la «sharing economy»: stiparsi in automobili con altri sconosciuti o passarsi il medesimo oggetto per il tempo che serve, non è proprio l'apoteosi dell'igiene. L'uso, per un po', non vincerà sul possesso.

A rendere meno piene le strade, a stappare dagli intasamenti dell'ora di punta le metropolitane, sarà il consolidarsi delle sperimentazioni in corso per lavorare e studiare. L'analista americana Kate Lister ha previsto che più del 25 per cento degli impiegati continuerà a prestare la sua opera da casa, anche dopo che la crisi sarà terminata. Il quotidiano Washington Post, d'altronde, ha definito la parentesi del coronavirus «un gigantesco esperimento che plasmerà come vivremo».

Scuole e università confermeranno, parzialmente, la loro migrazione online. Un rapporto pubblicato poche settimane fa dalla società di ricerche Knowledge Sourcing Intelligence, ha calcolato che il valore globale del mercato dell'istruzione virtuale passerà dai 188 miliardi di dollari del 2019 ai 320 miliardi nel 2025. L'allargamento non riguarda solo il giro d'affari, determinerà un cambio di pratiche e di filosofia: «Era una follia valutare le competenze dei ragazzi solo attraverso un testo scritto. Non aveva senso staccare l'apprendimento dall'accesso al web. Con una didattica ripensata, possiamo dare ai giovani la sensazione di essere davvero interessati al loro futuro» riflette Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, autore del libro Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa. Un'etichetta malinconica che cattura la vita di questi strani giorni, a prescindere dall'età anagrafica.

Non sarà tutto digitale: laboratori, prove pratiche, esperimenti e attività fisiche saranno in presenza. Di nuovo, si tratterà di regolare il traffico delle persone quando le esigenze lo imporranno: oggi queste classi, domani altre. Un modello cosiddetto phygital, un ibrido in cui l'offline interseca l'online e che, per reggere, esige una sovrabbondante dose di connettività. A garantire che internet non collassi sarà il 5G, la rete mobile ultraveloce e capiente che si sta espandendo proprio adesso. Doveva guidare le auto senza pilota, mettere il turbo all'intelligenza artificiale e varie arcane meraviglie, finirà per agevolare un'esistenza in streaming, scrutata dal vetro di uno schermo. Secondo il recente Ericsson Mobility Report, nel 2025 ci saranno 2,6 miliardi di abbonamenti al 5G nel mondo e il 65 per cento della popolazione globale sarà coperta. Saremo voraci di dati: ne consumeremo, in media, più del triplo rispetto a oggi.

Il commercio elettronico resterà imprescindibile. Ne andrà rinforzata la logistica, per esempio assorbendo parte di quella forza lavoro lasciata a terra dai fallimenti dalla crisi. La capacità di reinventarsi varrà come strategia contro la stasi negli affari: l'hanno sposata, per cominciare, già tanti locali. Deliveroo Italia, tra i leader nelle consegne a domicilio di cibo, fa sapere che, rispetto alle previsioni, chiuderà il mese di marzo con un aumento del 40 per cento del numero dei ristoranti che hanno deciso di fare il loro ingresso sulla piattaforma.

C'è chi si adatta e chi deve fare la conta dei danni: per il 2020 l'osservatorio dell'Aie, l'Associazione italiana editori, prevede 18.600 libri pubblicati in meno, 39,3 milioni di copie che non saranno stampate, 2.500 titoli che non verranno tradotti. E se la carta piange, il virtuale fattura. L'industria dei videogiochi procede al galoppo: secondo la società di ricerca Newzoo, passerà dai 152 miliardi di valore del 2019 ai 196 miliardi nel 2022. Il settore propone altre vite interattive, decisamente più dinamiche di quelle che possiamo permetterci ora e dopodomani. Ma se per disinfestarci dalla noia continuiamo a ingurgitare serie tv e prime visioni, per aspettare la notte ci resteranno giusto i classici e le repliche: in questo presente apocalittico in cui il peggio non smette di tuonare, il magazine Variety, la bibbia del cinema, titola così: «Per il coronavirus Hollywood sta affrontando una botta finanziaria che potrebbe cambiare l'industria per sempre».

Oggi impera la paralisi, a ripartire potrebbero essere giusto i grandi studi. Per andare sul sicuro con gli incassi, prima o poi gireranno un film su questo nostro tempo. «Tratto da una storia vera», si leggerà all'inizio. Non importa se non sarà un granché, se non renderà l'idea di quello che stiamo vivendo. Ci accontenteremo del lieto fine.

Politica: oltre Giuseppe Conte si intravede già super Mario Draghi


Il premier Conte tocca l'apice della popolarità a suon di decreti in solitaria. Ma dopo quella sanitaria, chi sarà in grado di risolvere l'emergenza economica? Non certo lui. L'unico, per molti, sarebbe Mario Draghi, ex presidente della Bce.

di Antonio Rossitto

L'unica certezza del momento è la civettuola pochette sparita dal taschino. I tempi impongono sobrietà. E Giuseppe Conte si adegua anche nell'abito ai venti di guerra. Il ribaltone agostano lo aveva trasformato in un funambolo del potere, dalle venature andreottiane. La battaglia contro il coronavirus sancisce l'ennesimo camaleontismo: da premier per caso ad aspirante capo supremo. Sempre più bramoso di visibilità, da settimane s'ode solo la sua voce. Il presidente del Consiglio, a suon di decreti solipsistici ed editti notturni, tocca l'apice della sua popolarità. Ma l'illusione potrebbe svanire quando gli italiani rimetteranno il naso fuori di casa. A quel punto, il governo più abborracciato della storia dovrà rispondere alla crisi più lancinante del secolo. E l'ultima metamorfosi del giurista di Volturara Appula, da machiavellico arbitro ad autoritario comandante, potrebbe non bastare.

Comunque vada, tutto cambierà. Anche la politica italiana. Non è una suggestione, ma un ovvio corollario. Bene o male Giuseppi, ragionano i burattinai di palazzo, ha servito la patria in un momento tragico. Adesso però bisogna pensare alla rifondazione. E i traballanti giallorossi non possono continuare a guidare il Paese. Il problema non sarebbe soltanto Conte. Roberto Gualtieri, ministro dell'Economia scelto per la sua contiguità con l'Europa, resta un figurante. Luigi Di Maio, autonominatosi ministro degli Esteri, rimane un dilettante. Questo governo balneare, è la conclusione, non può essere un governo di guerra. Lo sanno tutti: i partiti, l'Ue, gli imprenditori, i sedicenti poteri forti. Lo sa persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Nessuno ci gira attorno. Perfino il Pd s'è convinto che il già «avvocato del popolo» non può essere l'uomo giusto. Nella maggioranza, però, nessuno detesta Conte più di Matteo Renzi. Il suo partito, Italia viva, pesa ormai nei sondaggi il 2 per cento. Non ha nulla da perdere. Un cenno. E poi, zac! Sarà il primo a sfilarsi. Maggioranza finita. E nessuno, stavolta, sarà pronto in parlamento ad aiutare Giuseppi: né i reprobi grillini, né tantomeno i forzisti delusi. Tutti invece, dai riveriti leader all'ultimo peone, acclamerebbero l'ascesa di Mario Draghi, l'ex presidente della Bce: prima a Palazzo Chigi e poi, chissà, al Quirinale. Gli studi più pessimistici ipotizzano per l'Italia una perdita del Pil del 7,5 per cento. Serve una fantamanovra. Serve Super Mario. E lui, via Financial Times, segna la rotta: «Per evitare la depressione serve fare più debito pubblico». Segue ovazione generale.

Il richiamo all'unità, d'altronde, non lascia nessuno insensibile. Tutti, o quasi, sarebbero pronti all'esecutivo di salvezza nazionale. A partire da Matteo Salvini. «Non è l'argomento del giorno, ma Draghi rimane comunque l'epilogo più probabile» conferma, rinchiuso nel suo ufficio del Senato, l'influentissimo leghista. La strada sembra dunque tracciata. Giancarlo Giorgetti ha grande stima del papabile. E lo stesso Salvini, lo scorso dicembre, sondato sull'ipotesi di Draghi al Quirinale risponde: «Why not?». Mentre Giorgia Meloni, stizzita, replica: «Not in my name». Le posizioni, passato qualche mese, non sono cambiate. E mentre il capo della Lega esclude le urne in tempi tanto ostici, per l'alleata il voto è l'unica alternativa. «Il tempo c'è: a ottobre o all'inizio di novembre. Noi restiamo coerenti: al governo con Renzi e il Pd non c'andiamo» ammette, mentre si arrabatta per raggiungere Montecitorio, uno degli uomini più vicini alla leader di Fratelli d'Italia. «Facciamo piuttosto una campagna elettorale sull'emergenza economica».Insomma, «grande è la confusione sotto il cielo» diceva Confucio. Solo che la situazione, a differenza della rassicurazione del filosofo cinese, non è certo eccellente. Chi ne ha viste più di tutti è il senatore Pier Ferdinando Casini: otto legislature, già presidente della Camera, in Parlamento dal 1983. Eletto in una lista collegata al Pd, resta esimio esponente della maggioranza. Telefoniamo. «Pant, pant, pant...». «Perché ansima, senatore?». «Scusi, ma sto facendo il giro del palazzo. Però mi tengo rigorosamente entro i 200 metri, eh. Come dice Conte…».

Sondiamo: che cosa accadrà alla politica italiana? «Nulla sarà più uguale a prima» premette Casini. «Il governo, l'opposizione, i ribaltoni, le elezioni anticipate… Improvvisamente, tutto è datato. La gente sta riscoprendo cose che sembravano sommerse. Adesso, per esempio, ha capito che bisogna riaffidarsi ai valori della scienza e della competenza». E magari agli uomini d'esperienza, quale è lui. «La politica deve dimostrarsi all'altezza dei tempi. Leggo degli indici di consenso per il premier e sorrido. La gente ora è compatta. Ma quando passerà la paura fisica arriverà la rabbia. Le nostre istituzioni sono a rischio. Milioni di persone potrebbero perdere il lavoro. E con chi se la prenderanno, se non con la politica?». Quindi? «In guerra non si aprono mai crisi di governo, sarebbe antitaliano. Ora siamo patrioti. Ma siamo pure sotto un bombardamento. Appena finito, dovremo ricostruire case e aziende. Con il dovuto rispetto: un esecutivo per caso non può farlo. E ho la sensazione che la confusione di questi giorni stia dando un chiaro segnale: c'è bisogno di una cosa diversa. Dovrà emergere un governo di condivisione nazionale».

Dunque, Draghi. Anche, o soprattuto, le strade scudocrociate portano a Super Mario. Sempre lì, alla fine, si torna. L'unico che potrebbe farsi valere in Europa. Circondato, in patria, da un forzoso consociativismo. Torneremo, allora, democristiani. «È un auspicio, una necessità e un consiglio che do a tutti, visto che non devo più far carriera». Già, ne ha viste tante Casini. «Mai però c'è stato un quadro tanto devastante: da un mese si va avanti tra decreti e provvedimenti d'urgenza. Non si sa più chi comanda in questo Paese». Il dilemma affligge insigni costituzionalisti come Giovanni Guzzetta. Pure lui, a casa. Ha appena terminato una videolezione. Risponde al primo squillo: «Un premier non hai mai avuto poteri tanto estesi senza il consenso parlamentare. Banalizzato il decreto-legge, è arrivato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Ovvero, non decide nemmeno il governo. Qualcuno direbbe che "è l'ufficializzazione dell'uomo solo al comando". Altro che "la Costituzione più bella del mondo"! L'avesse fatto Berlusconi, ci sarebbero i partigiani in piazza». E adesso? «Ci stiamo abituando. Anche perché oggi è impopolare contestare il decisore. Dopo quella sanitaria, sarà l'emergenza economica a giustificare il pugno di ferro. Ma la cornice istituzionale è molto incerta. In Francia il decreto emergenza è stato votato dai partiti. In Spagna hanno convocato il parlamento. Da noi, invece, il ruolo delle Camere è diventato marginale. Così l'emergenza diventerà più forte della Costituzione. Una deriva che in Italia, in passato, ha finito per giustificare tutto. La democrazia però dovrebbe essere autorevole, non autoritaria. Se si vuole la presidenzializzazione dell'esecutivo si cambi piuttosto la Carta, con le garanzie necessarie».

Il futuro, resta tribolato. L'inedito bussa alle porte. Alessandra Ghisleri, sondaggista e politologa, è nota per anticipare i tempi. «Sto facendo gli gnocchi. Può chiamare dopo pranzo?». Ci rifacciamo vivi nel primo pomeriggio. Breve preambolo sulla pasta fresca, poi Ghisleri ratifica: «La politica cambierà, necessariamente. Le richieste dell'elettorato saranno sempre più pressanti. Serve intervenire in tempi rapidi, cercando di anticipare la crisi. Altrimenti sarà il popolo a sollevare il governo. Facile dire: "Nessuno perderà il lavoro". Già, ma come? Conte deve dare risposte tempestive, chiare e decise. Oppure i cittadini chiederanno alternative».

Servirebbe dunque un Giuseppi illuminato e stentoreo. «Nei nostri sondaggi, il premier sfiora il 50 per cento di consensi, ma la gente resta molto prudente. Persino Mattarella è osservato con attenzione. Durante questi "cigni neri", siamo tutti più vicini. Fino a oggi, presi dagli eventi, abbiamo inseguito il virus. Adesso, è necessario anticipare la crisi. E il premier non indossa una casacca di partito: circostanza che potrebbe usare per ampliare il suo consenso». Gli istituiti demoscopici, nell'attesa, continuano a testare ogni opzione. «I nuovi governi alternativi ora spaventano, perché non danno certezza. Da Draghi a un esecutivo di unità nazionale: per cittadini, in questo momento, sono tutte terre inesplorate. Ma lo scenario, ovviamente, è in continua e rapida evoluzione». Anche il centrodestra è destinato a cambiare. «C'è un riassetto importante» dice Ghisleri. «Il tridente è: Salvini, Meloni, Tajani. Uniti, ma con distinguo. La gente comunque, in generale, ora non vuole polemiche. Premia i leader costruttivi. E forse ne emergeranno altri...». Magari proprio i virologi ultramediatici. Saranno loro i prossimi a buttarsi nell'agone politico? Come il perfido Roberto Burioni. O il serafico Walter Ricciardi. Oppure la rassicurante Ilaria Capua. Qualcuno di loro potrebbe continuare a guidare il gregge. E il burbero Massimo Galli? È ormai il medico di famiglia dell'Italia impaurita: chiaro, diretto e integerrimo. Decisamente troppo, per la posticcia unità nazionale che ci aspetta.

Quel che resterà dell'economia italiana


La chiusura di hotel, bar, negozi e fabbriche causerà una recessione più profonda di quella del 2008. Dopo il lockdown il 10 per cento delle aziende potrebbe non riaprire.

di Guido Fontanelli

Che fine avrà fatto quel bar dietro l'angolo? E il ristorante dove siamo stati un anno fa?» Vi farete queste domande nel 2021, camminando per le strade della vostra città. Molti, tra bar, ristoranti, negozi di abbigliamento, agenzie di viaggio, avranno la saracinesca abbassata. Un hotel vicino alla stazione si innalzerà vuoto, con le insegne spente e le porte sbarrate. Il cantiere che doveva costruire un nuovo quartiere sarà silenzioso. Quella concessionaria di auto che scorgevate distrattamente dalla superstrada non ci sarà più. E tra le nuvole volerà l'aereo di un'Alitalia tornata pubblica. Come tante altre aziende salvate della Stato, teme Fedele De Novellis, economista di Ref Ricerche.

Sarà un'Italia più povera quella del post-coronavirus, con migliaia di piccole e medie imprese fallite, più disoccupati, le case che varranno di meno e un debito pubblico che, secondo Goldman Sachs, sarà salito al 144 per cento sul Pil, con un balzo in avanti di 9 punti. Si tornerà a parlare dei problemi delle banche, ancora alle prese con i prestiti incagliati, mentre i risparmiatori non sapranno dove mettere i soldi al riparo da una ipotetica patrimoniale.

Si presenterà così l'economia del 2021? Molti esperti e operatori temono di sì. Certo, fare previsioni è difficile: non sappiamo quando il Covid-19 verrà debellato e di conseguenza non sappiamo quanto lunga sarà la recessione che ormai attanaglia Europa e Stati Uniti. «Le nostre stime sono incerte, questa crisi non ha precedenti» ammettono gli analisti di Goldman Sachs. Si possono però disegnare due scenari: uno più favorevole, con l'epidemia che si ferma prima dell'estate, e uno più pessimistico, con la paralisi che continua almeno fino all'autunno. Mariano Bella, direttore del contro studi della Confcommercio, attribuisce solo il 25 per cento di probabilità all'ipotesi, più ottimistica, di una riapertura dell'Italia il 1° giugno: in questo caso si potrebbe contenere la perdita di ricchezza all'1 per cento del Pil e a poco più di 2,5 punti percentuali il calo dei consumi. Ma secondo lui è molto più realistico uno scenario di «riapertura dell'Italia, in un contesto internazionale piuttosto favorevole, o, meglio, sanificato, per restare in tema, solo all'inizio di ottobre».

Un'Italia che resta in lockdown fino a ottobre significa che la gente per mesi non compra quasi nulla, tranne alimentari e prodotti farmaceutici. Questo quadro «implicherebbe una riduzione dei consumi del 5,7 per cento nel 2020 con una scomparsa di 52 miliardi a valore rispetto allo scorso anno. Il Pil scenderebbe del 3 per cento circa, avendo già considerato gli aiuti stanziati con l'ultimo decreto».

A soffrire di più sarebbero alberghi e ristoranti con un crollo dei ricavi del 21,6 per cento, seguiti dai trasporti (-12,7) e dall'abbigliamento (-11,3). Invece i consumi di alimentari crescerebbero del 4,2 per cento, gli unici con un segno più insieme alla sanità. «Alcune migliaia di imprese non ce la faranno a riaprire» sostiene Bella. Il quale teme che la ripresa sarà lenta: «L'Italia è un Paese che non rimbalza, non abbiamo ancora recuperato i livelli del 2007». Tutti speriamo che questa volta l'andamento del Pil abbia una forma a V, con una rapida ripresa dopo la fine dell'epidemia, alimentata da un boom di consumi liberatori. Ma è probabile che la forma sia invece a U, con un recupero più lontano. In effetti, quando esplose la crisi finanziaria globale post Lehman, negli ultimi cinque trimestri del 2008 e nei primi mesi del 2009 il Pil italiano scese del 7,3 per cento e poi risalì del 3,3 per cento nei successivi sette trimestri. Quindi rimbalzò, ma come una pallina sgonfia. Durante un 2020 di semi-paralisi non solo i negozi, ma anche le piccole imprese «rischiano di essere travolte da un effetto-domino provocato dalla crisi di liquidità» ricorda Cesare Fumagalli, segretario generale della Confartigianato. «Quando i clienti iniziano a non pagare, l'anello più debole sono i piccoli. All'inizio dell'epidemia avevamo stimato una caduta dei ricavi intorno al 30 per cento, ma ora la situazione è peggiorata».

Il Cerved sostiene che, a causa del «più importante shock che ha colpito il nostro sistema economico nel Dopoguerra», un'azienda su dieci potrebbe fallire «nel caso in cui l'emergenza coronavirus non si arrestasse entro l'anno e con misure che di fatto fermano l'economia delle aree più produttive del Paese». E sempre il Cerved stima che «le imprese italiane potrebbero perdere tra i 270 e i 650 miliardi di fatturato nel biennio 2020-21 a causa del Covid-19, a seconda della durata dell'epidemia e della velocità di reazione del nostro sistema.» Tra i settori più colpiti, alberghi, agenzie viaggi, produzione di veicoli. Chi oggi volesse acquistare un'auto nuova non può: il mercato delle quattro ruote rischia così di ridursi da 1,9 milioni di vetture vendute nel 2019 a 1,4-1,5 milioni, stima Gian Primo Quagliano del centro studi Promotor. I concessionari italiani impiegano oltre 120 mila addetti. Alcuni chiuderanno.«Nel 2021 l'economia italiana avrà una faccia diversa da quella precedente, e sarà più brutta» dice De Novellis di Res, per il quale il primo trimestre 2020 potrebbe chiudere con un calo del Pil del 3 per cento seguito da un -5 per cento nel secondo. «Ci saranno settori che avranno perso definitivamente molti posti di lavoro, altri che riusciranno a recuperare e altri ancora che ne usciranno più forti, come il commercio online o il farmaceutico. Ma il Paese non sarà più come prima. Per un po' staremo lontani dai luoghi affollati, eviteremo ristoranti, concerti, fiere. Viaggeremo meno. Avremo meno soldi in tasca e le banche torneranno a soffrire. Forse cambieremo per sempre i nostri stili di vita».

Ma non tutti i mali vengono per nuocere: grazie all'emergenza del coronavirus abbiamo capito che in alcune filiere non si può delegare tutta la produzione di un componente a una sola impresa, la più efficiente del mondo. Il sistema diventa troppo fragile e in caso di emergenza sanitaria si rischia di bloccare tutto. Non solo. L'Italia ha compiuto un grande salto tecnologico nel digitale, recuperando terreno rispetto agli altri Paesi europei. Oggi siamo pronti a lavorare più spesso da casa grazie allo smart-working. E anche le aziende ce lo chiederanno, per ridurre l'affollamento negli uffici. Ammesso di avere ancora un ufficio dove (non) andare.

Verrà la resa dei conti anche per l'amore


Sentimenti immalinconiti dalla segregazione. Tradimenti sospesi. Sessualità infiacchita dallo stress... Ma, a pandemia finita, riprenderà il gran ballo della vita e delle emozioni?

di Terry Marocco

Di cosa parleremo quando parleremo d'amore dopo il coronavirus? Parafrasando Raymond Carver, l'amore ai tempi del virus è noioso, impaurito, diffidente, assolutamente monogamo, poco lussurioso malgrado la costrizione casalinga. Ma quando tutto finirà, come saremo? «La variabile è quanto durerà e come ne usciremo», riflette Elisabetta Ruspini, sociologa dell'Università di Milano-Bicocca. «Quello che c'era prima, difficile che rimanga così com'è. Il forte stress impatterà su ogni rapporto, anche quelli felici. E quando potremo ripartire, si ritornerà ai valori veri, alla famiglia che ci ha sostenuto, al coniuge amato o mal sopportato, che ci è stato vicino».

Ma la Cina durante la quarantena ha visto aumentare il numero delle violenze domestiche e dei divorzi da reclusione forzata. E i nostri matrimonialisti pensano già al molto lavoro che avranno da fare. «Le calamità evidenziano e accelerano i processi: le coppie di facciata, obbligate a viversi addosso, si lasceranno appena sarà possibile evadere dalla prigione domestica. Quelle solide, al contrario, ritroveranno nell'isolamento le ragioni dello stare insieme» sostiene il giornalista e scrittore Massimo Gramellini. «Anche certi adultèri dettati dalla noia e perfetti per vivacizzare la routine in tempi di emergenza diventano un fastidio, un orpello di cui si può fare serenamente a meno. Gestire una doppia vita stando in casa è impresa da equilibristi sentimentali. Telefonarsi sotto il naso dei rispettivi partner in modalità "Buonasera dottore…", come in quella canzone di Claudia Mori, è impensabile. Ci si può scrivere. Conosco persone che, per poterlo fare con un minimo di sicurezza, passano le giornate in bagno chiuse a chiave. Sento dire da più parti che l'emergenza sanitaria ci sta facendo riscoprire i valori della famiglia. Mi permettete di dubitarne? I cambiamenti veri sono sempre il frutto di un duro lavoro interiore, individuale e di coppia. Non di emozioni passeggere, determinate da una causa esterna, che mi ricordano le promesse di Pinocchio. Valide solo fino alla prossima tentazione». Allora tutto tornerà come prima: Natale e Santo Stefano in famiglia e il giovedì sera dall'amante. «Mi piace l'idea del giovedì sera, così equilibrato, a metà settimana» aggiunge Antonino Ferro, psicanalista già presidente della Società Psicoanalitica Italiana. «Sono assolutamente convinto che non cambierà nulla. Reiteriamo i nostri comportamenti. Forse per sei mesi saremo diversi, più buoni, ragionevoli, come quando scoppiò l'Aids, poi torneremo quelli di prima. Tutti al gran ballo della vita. Non credo in un ritorno alla famiglia. Anche se conosco uomini che confessano di sentirsi sollevati da questa quarantena: non devono vedere l'amante e possono interrompere una routine spesso faticosissima».

Anche il filosofo Stefano Zecchi è della stessa gattopardesca idea: «Tutto resterà come prima. Quando finirà, riprenderemo la nostra vita da dove l'avevamo lasciata. Quello che c'era ritornerà, nel bene e nel male. Certo tutto dipende da come si era partiti. Se c'era una situazione di crisi, la quarantena l'enfatizzerà. Forse qualcuno scoprirà che la moglie era la fata che non si aspettava. Per i ragazzi invece sarà diverso, per loro ci sarà un prima e un dopo. Penso a mio figlio che ha 16 anni e sente la mancanza della scuola, luogo della socialità, degli amici, dell'amore. Avranno voglia di vedersi più di prima. Metteranno da parte la virtualità».

Ma il timore è che la virtualità non verrà affatto messa da parte. Dopo mesi di estenuanti videochiamate forse ci saremo abituati a stare lontani. E la paura, che ci abiterà a lungo, farà amare la distanza sociale. Il pensiero che l'altro ci possa contaminare, inquinare resterà. «Aumenterà la diffidenza, avremo sempre più timore del contatto fisico» pensa la scrittrice Barbara Alberti «d'altronde siamo già molto virtuali, onanisti superstar. Ci stiamo sempre più disincarnando». Il corpo scompare come nell'ultimo libro di Chiara Valerio Il cuore non si vede (Einaudi). Il protagonista si sveglia e non ha più il cuore. «Ora è come fossimo tutti senza corpo. Come il protagonista del mio romanzo, anche io penso solo e soltanto alla vita. E la vita è fatta di noi e di persone come noi, che amiamo o che odiamo. È fatta di relazioni. E io confido che queste relazioni siano più importanti degli individui stessi. Spero che resti quello che di buono c'è in questa terribile occasione che ci troviamo a vivere. Torneremo ad abbracciarci e a stringerci la mano, come prima, perché non abbiamo una lunga memoria del male».

Sospesi, in attesa, divisi da un vetro come i due anziani coniugi di Seattle. Per Vittoria Baruffaldi, scrittrice torinese appena uscita con C'era una volta l'amore (Einaudi) quel vetro ci divide tutti: «I giovani fidanzati che non possono stare insieme, quelli che si erano appena conosciuti e innamorati, le coppie di amanti e anche quelli insieme da anni che oggi insieme ci devono stare per davvero. Ora tutto sembra cristallizzato. Tranne gli uomini che scrivono in continuazione, come mai avevano fatto prima, messaggi su Facebook, chat, WhatsApp. Fanno complimenti, futuri inviti, leggere avances. È come se, protetti dalla quarantena, si scatenassero. In casa mi sembrano loro i più disperati».

Figli sempre tra i piedi, mogli onnipresenti, il cane come unico sfogo, per gli uomini è l'inferno dantesco. E le donne impietose si lamentano: «Qui non si batte un chiodo». Il sesso è il grande assente della quarantena. Il sessuologo Emmanuele A. Jannini crede che presto sarà anche lui in prima linea: «Dopo essere stati messi alla prova da una convivenza forzata, è facile che si possano manifestare disfunzioni sessuali che prima erano sotto traccia. Chi faceva il minimo sindacale è costretto a penosi tour de force. Ma se in questo periodo la libido diminuisce vuol dire che ce ne era poca anche prima. E alla fine non è affatto male che coppie che hanno quasi nulla da condividere, esplodano». E chissà se dopo si finirà all'orgia pasoliniana: «I single stanno soffrendo, ma poi si daranno alla pazza gioia. Sarà il trionfo del carpe diem».

La psicanalista Enrichetta Buchli ha scritto un libro importante sull'amour fou: Il mito dell'amore fatale (Baldini Castoldi Dalai). «Ci sono casi di separazioni coatte durante la quarantena che riattivano il desiderio. Tristano e Isotta, il bisogno dell'assenza. Poi ci sono rapporti di convivenza dove il virus slatentizza conflitti che covavano sotto la cenere. Può avvenire anche il contrario. Scoprire aspetti di sé e dell'altro finora oppressi da uno stile di vita alienato. Vivevamo in una situazione di onnipotenza, tutti workaholics. Ora la quarantena ci costringe ad abitare il tempo, come diceva Martin Heidegger». Così lontani, così vicini, questo è il momento di fare i conti con la propria vita e di riscoprire l'empatia: «Entrare nella mente dell'altro pur restando se stessi. È molto difficile, soprattutto per la società di oggi così narcisistica». Per la psicanalista niente sarà più come prima, a cominciare dalle relazioni extraconiugali: «Queste donne che aspettano all'infinito capiranno come le separazioni forzate sono ancora una volta una "non scelta". Quindi potrebbero decidere di chiudere il rapporto. Ma può anche succedere che l'uomo si renda conto del suo matrimonio di facciata e dell'amore per l'altra, decidendosi a lasciare la moglie. Penso che sia possibile in chi ha un legame profondo con l'amante».

Ci sarà un brutale ritorno alla realtà. Ci spoglieremo di tutto quello che avremo capito essere inutile. Faremo prima a disfarci di un amore ormai scaduto, che della mascherina. Enrico Vanzina, che con il fratello Carlo, per quarant'anni ha raccontato questo Paese e i suoi vizi oggi crede fermamente che solo l'essenziale potrà essere salvato: «Gli uomini grazie alla chimica hanno creduto di avere davanti a sé un tempo infinito e infinite relazioni. Ci siamo fatti delle illusioni. Invece il tempo è poco. E non possiamo perderlo in cose che sono sbagliate fin dall'inizio, storie inutili, superficiali. Bisogna concentrarsi su ciò che vale la pena. Restano in piedi solo le cose importanti. Si tornerà ai sentimenti». Ed è solo a questi cui crede il visionario regista Raffaele Curi: «Ne La morte della bellezza Giuseppe Patroni Griffi ambienta una storia d'amore durante i bombardamenti dell'ultima guerra in una Napoli meravigliosa e attonita. Nulla è più vitale del pericolo per le grandi intese amorose. Ecco perché non scomoderei la fantascienza per pensare al futuro dei nostri sentimenti, piuttosto un ritorno al passato, fortemente colluso con la parte, ormai negata da troppo tempo, di sentire visceralmente con il cuore. Lasciando ai tempi che stiamo per abbandonare la ridondanza di un sesso troppo facile, inerte, asettico. Un meraviglioso caleidoscopio di "sentire insieme" con una pulsione di cuore e mente, tralasciando l'orribile tran tran degli amori da weekend, troppo facili e poco estetici. Un futuro elettrizzante ci aspetta». n

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