Il lavoro ai tempi del Covid-19

«Nel 1996 un incendio distrusse il nostro magazzino: era stato appena inaugurato. Fu una vera tragedia, ma siamo ripartiti. Siamo forti e ce la faremo anche questa volta. Così come ce la fece mio nonno, emigrante diretto in Argentina, che naufragò davanti alle coste del Brasile»

Anche di fronte al Coronavirus, Michele Bauli rispecchia lo stereotipo dell'imprenditore veneto, che mantiene la serenità mentre ci dà dentro con il lavoro. E che lavoro: l'azienda che presiede, la Bauli di Verona, fattura 500 milioni, impiega mediamente 1.500 persone, ha 5 stabilimenti in Italia e uno in India (vicino a Mumbai) ed è leader di mercato delle colombe pasquali. Fu fondata nel 1922 a Verona da Ruggero Bauli, emigrato nel 1927 a Buenos Aires e tornato in Veneto nel 1937 dove iniziò a produrre il famoso pandoro.

Essendo un'azienda alimentare, in queste settimane la Bauli può evitare il lockdown ed è autorizzata a rimanere aperta. E ora affronta uno dei momenti più difficili della sua storia proprio alla viglia della Pasqua, ricorrenza fondamentale per lei che sforna una quindicina di milioni tra uova di cioccolato e colombe.

Come stanno andando le vendite?

«Per ora reggiamo, ma se andiamo avanti così sarà dura».

Cosa intende?

«I dolci per la Pasqua e per Natale rappresentano da soli il 40 per cento del nostro fatturato mentre con croissant, Buondì e biscotti facciamo il resto. Il mio timore è che con l'emergenza del Coronavirus molte colombe e uova rimangano invendute: penso che vivremo una Pasqua in tono ridotto con le famiglie chiude in casa. Una situazione che, al di là della Pasqua, non può durare a lungo».

Come avete organizzato il lavoro in azienda?

«Negli uffici ci va solo un terzo degli impiegati, mantenendo le distanze; un altro terzo lavora da casa e il resto è in ferie. Nelle fabbriche invece ci sono quasi tutti: hanno appena finito la produzione di colombe e di uova di cioccolato».

Avete adottato molte precauzioni?

«Per noi questa situazione non provoca grandi cambiamenti. Operando nel settore alimentare abbiamo già una serie di procedure che garantiscono alti livelli di igiene. Abbiamo l'abitudine alla pulizia, alla sanificazione e al mantenimento della distanza tra lavoratori. Le normative italiane sono severissime. Ora abbiamo aggiunto mascherine e guanti».

Casi di contagio?

«Per ora solo nella fabbrica di Cremona, una delle zone più colpite dal virus, risolti con la quarantena».

E a Verona?

«Per fortuna nessun problema».

Il consumatore può stare tranquillo, non è che un lavoratore positivo può contagiare il prodotto?

«Può stare tranquillo: chi entra nello stabilimento deve sottoporsi alla procedura di sanificazione e le fasi della produzione garantiscono una garanzia assoluta sulla sicurezza del prodotto».

Lei è anche presidente di Confindustria Verona. E di recente ha dichiarato che «ci opporremo a qualsiasi limitazione alle attività d'impresa che in queste ore sono state paventate. Lo faremo per noi e per i nostri lavoratori. Continueremo ad assumere tutte le più drastiche misure di sicurezza per garantire che non ci siano contagi all'interno delle aziende, ma dobbiamo continuare a lavorare». Alla luce del numero di contagi raggiunto in Italia ripeterebbe le stesse parole?

«Io penso che si debba ragionare su due binari: da una parte dobbiamo continuare la lotta contro questo virus e ne approfitto per ringraziare il personale sanitario per il suo lavoro straordinario. Dall'altra dobbiamo combattere la crisi economica. È una cosa durissima tenere chiuse per settimane le aziende del Paese. Le imprese più piccole, le partite Iva, i negozi, i ristoranti non possono resistere a lungo. Ora occorre programmare una ripartenza dell'economia, con tutti i protocolli di sicurezza necessari per garantire la sicurezza dei lavoratori. Ma bisogna ripartire».

Magari iniziando da alcuni settori, come propone qualcuno?

«Non è semplice. Il problema è che ormai nel sistema economico tutto è interconnesso. Le faccio un esempio: come azienda alimentare abbiamo programmato degli investimenti per acquistare nuovi macchinari. I quali magari vengono anche realizzati. Ma se si ferma l'azienda che deve verniciare queste macchine, loro non possono essere consegnate e io l'investimento non lo posso fare. Così bloccare un'impresa che si occupa di verniciature ferma anche una che fa prodotti alimentari».