ANCHE IL CALCIO E' MALATO

Ai mancati ricavi per i club ai diritti tv, dalle sponsorizzazioni alle perdite dei titoli delle società quotate in Borsa passando per il blocco degli stipendi dei calciatori, alcuni dei quali sono pure risultati positivi al coronavirus. Il conto della «quarantena nel pallone» voluta dal ministro dello Sport Vincenzo Spadafora rischia di diventare salatissimo. Tanto che la Uefa sta esplorando diverse possibilità per apportare modifiche alle norme del Fair play finanziario, ovvero il sistema di regole introdotto nel 2010 per obbligare i club iscritti alle coppe europee al rispetto di alcuni parametri economico-finanziari con l'obiettivo di calmierare i costi. Le società non sono tenute solo a saldare i debiti scaduti con altre squadre o i tesserati, ma anche a mantenere una gestione equilibrata dei conti.

Le regole sul «break even», che obbligano i club che giocano in Champions ed Europa League a spendere solo ciò che incassano, impediscono ai ricchi proprietari di pompare denaro nelle società per i trasferimenti e gli stipendi dei giocatori. Il problema è che con lo stop alle partite imposto dal Covid-19 queste iniezioni di liquidità da parte degli investitori potrebbero essere necessarie per mantenere in vita i club. Ecco perché la Uefa sta cercando di capire, con un gruppo di lavoro costituito ad hoc, quando la stagione potrà riprendere, valutando i cambiamenti necessari a mitigare le difficoltà finanziarie portate dalla pandemia. Arrivata, peraltro, quando molte squadre italiane non navigavano nell'oro e i bilanci erano già stressati.

Secondo l'inchiesta annuale della Gazzetta dello Sport, nel 2018-19 i costi della Serie A sono schizzati in alto di mezzo miliardo in 12 mesi, da 3 a 3,5 miliardi crescendo molto più del fatturato, salito da 2,4 a 2,7 miliardi al netto delle plusvalenze, e peggiorando la perdita aggregata, pari a 292 milioni contro gli 88 del 2017-18. Di conseguenza, i debiti sono decollati a quasi 2,5 miliardi. Eppure molte società hanno continuato a spendere. Gli stipendi (di tutto il personale, non solo dei calciatori) sono cresciuti di quasi 300 milioni a 1,75 miliardi e gli ammortamenti per i «cartellini» dei giocatori di oltre 100 a 787 milioni. Non è un caso se la soluzione caldeggiata dalla Lega sia il taglio del 33 per cento degli stipendi dei calciatori, nel caso in cui non si dovesse tornare a giocare. Nel frattempo, la Fifa ha approvato delle linee guida sui temi più caldi, dal mercato alle scadenze dei contratti fino appunto agli stipendi. La federazione incoraggia «fortemente» club e giocatori a lavorare insieme per trovare accordi, ma nel caso non si potessero raggiungere la federazione ha stabilito dei criteri per decidere nel merito e arrivare a soluzioni «giuste ed equilibrate per entrambe le parti».

Secondo il New York Times, la stessa Fifa - che può contare su riserve per 2,5 miliardi di euro - sarebbe pronta a scendere in campo con un intervento senza precedenti. La confederazione mondiale del calcio vorrebbe istituire un fondo di compensazione inizialmente di alcune centinaia di milioni, sull'onda di quanto stanno facendo i governi di tutto il mondo, arrivando fino ad accendere prestiti con i futuri introiti da sponsor e tv come garanzia. Attualmente, la Fifa distribuisce 5 milioni di euro l'anno a ciascuna delle 211 associazioni aderenti, in misura uguale; il nuovo fondo potrebbe fornire prestiti a breve termine e sovvenzioni di emergenza. Per un vero e proprio Piano Marshall da dopoguerra del pallone. Di certo, allo tsunami del coronavirus resisterà chi avrà i bilanci in ordine e il supporto degli azionisti. In Serie A hanno chiuso in utile gli ultimi esercizi cinque club su 20 (più le retrocesse Chievo ed Empoli). Si tratta di Napoli, a +29,2 milioni, Atalanta (+24), Sampdoria (+12,1), Sassuolo (+8,1) e Udinese (+1,2). Sono soltanto tre i club che non hanno debiti bancari: Cagliari, Napoli e Torino. Ma anche per le big ci sono problemi: con il virus la vendita della Roma da Pallotta a Friedkin è stata congelata.

In base agli scenari «di guerra» delineati dalla Figc presieduta da Gabriele Gravina, se il campionato fosse terminato a porte chiuse il danno sarebbe di altri 294 milioni, oltre le perdite previste. Se invece non si riuscisse a chiudere la stagione la perdita sarebbe di 504 milioni in più rispetto alle previsioni pre coronavirus. In totale, quindi, il rosso arriverebbe a quasi 800 milioni. Un'enormità per un movimento che versa 1,3 miliardi di contributi fiscali e previdenziali allo Stato e 2 miliardi di stipendi ai dipendenti. A rischio sarebbe quasi il 30 per cento delle società della Serie C, da stime non ufficiali. I settori più colpiti sarebbero il ticketing, sia per quanto riguarda i biglietti che gli abbonamenti, ma anche i ricavi derivanti dalle sponsorizzazioni e dalle attività commerciali. La ripresa dei campionati a porte chiuse avrà un impatto negativo per i club di 125,4 milioni di ticketing. Parliamo di 98,1 milioni solo per la Serie A, 7,5 per la B, 8,2 per la C e 11,6 per dilettanti e campionati giovanili. Non solo. Se il campionato non venisse concluso il calcio rischia di perdere fino a 399 milioni tra sponsor e attività commerciali. Perdita che si ridurrebbe a 168 milioni nel caso in cui la stagione fosse finita. Complessivamente, secondo le stesse stime, la differenza tra pre e post crisi potrebbe drenare 313 milioni di ricavi solo alla Serie A.

Un capitolo preoccupante è quello relativo ai diritti tv che la scorsa stagione hanno portato nelle casse della Serie A, compresi i proventi delle coppe europee, 1,44 miliardi. Il blocco forzato delle partite svuota completamente il palinsesto delle emittenti sportive, che a loro volta sono inondate di richieste di rimborsi o di disdette da parte dei consumatori. Non solo da parte dei privati, ma soprattutto da parte di bar e locali. Per il momento i pagamenti di Sky e Dazn non sarebbero in discussione, anche perché non esiste una penale in caso di mancato svolgimento delle partite. L'ultima rata (sono sei divise a bimestri per un totale di 973 milioni a stagione tra Sky, che ne versa 780 per 266 partite, e Dazn, 193 per 114 gare) è stata versata regolarmente lo scorso 1° marzo. Il primo maggio c'è la prossima scadenza e dovrebbe coprire proprio i due mesi di fermo del campionato. Finora sono state giocate 257 partite, le restanti 124 valgono oltre 300 milioni.I conti, per i club quotati, si fanno anche in Piazza Affari. Nell'ultimo mese (in base ai dati di Borsa aggiornati al 7 aprile), il titolo della Lazio ha lasciato sul terreno quasi il 27,7 per cento, quello della Roma il 29,6, mentre le azioni della Juventus hanno perso quasi l'8 per cento. L'accordo che è stato raggiunto tra calciatori, allenatore e società bianconera prevede che i primi rinuncino a quattro mensilità di stipendio ossia subiscano una decurtazione del 33 per cento degli stipendi. L'intesa permetterà alla Juve di risparmiare ben 90 milioni di euro nell'esercizio 2019-2020 che si chiuderà il prossimo 30 giugno.

Nei giorni scorsi gli analisti di Banca Imi avevano stimato un impatto del coronavirus sull'esercizio 2019-2020 della Juventus fino a 110 milioni nel caso in cui tutte le partite fossero state annullate. Secondo gli analisti di Imi il risparmio di 90 milioni sui compensi di calciatori e allenatore, più altri 20 milioni risparmiati per la potenziale riduzione dei costi relativi alle partite andrebbe a compensare il taglio delle entrate portando la perdita per l'anno 2019-20 a circa 52,2 milioni.