Perché il Governo, sulla vicenda Autostrade, ha esultato troppo presto

Nel braccio di ferro con lo Stato Atlantia ha tutto l'interesse a tirare in lungo, anche perché intanto continua ad incassare i pedaggi senza ridurre le tariffe come promesso. E poi, chissà mai che in futuro non subentri un governo ancor più amichevole. Visto il boom a piazza Affari gli sconfitti non sembrano di certo i Benetton.

Le ultime voci di stampa dicono che stavolta, sulla partita delle autostrade, è quasi fatta. Sicuro al cento per cento. E' la volta buona, stavolta ci siamo, non si scherza più. Ma adesso vatti un po' a fidare: nel coro degli osanna ci siamo già passati. Era solo il 15 luglio, praticamente ieri l'altro, quando il governo annunciò di aver trovato un accordo storico con i Benetton "nell'interesse dello Stato", e si vantava del cosiddetto "pugno duro" contro la famiglia di Treviso. Ricordate gli squilli di tromba? Il patto prevedeva l'ingresso di Cdp nell'azionariato, la riduzione ai minimi termini dei precedenti proprietari, e il ridimensionamento delle tariffe: tutto mentre "Il Fatto Quotidiano" titolava "Benetton in fuga, autostrade libere". In realtà di storico in quell'accordo c'era ben poco, visto che non c'erano termini temporali né cifre nero su bianco. Insomma, un libro dei sogni, che al massimo aveva solo la copertina.

Com'è finita lo sappiamo: qualche giorno dopo il patto meraviglioso è finito fuori strada. Si è cappottato alla prima buca. Soprattutto perché a Palazzo Chigi hanno venduto troppo presto la pelle dell'orso. Pensavano che trovare un accordo economico sui quattrini da sborsare sarebbe stato semplice, quindi tanto valeva cucirsi in anticipo la medaglia sul petto. Neanche per idea: i Benetton, anziché darsi alla fuga, come ci era stato raccontato, decidono che il valore del gioiellino autostradale debba deciderlo il mercato. E tutto è diventato più complicato, e potenzialmente più costoso. I fondi esteri, da par loro, remano contro la linea del governo, e pesano abbastanza da minare il confronto. Senza contare che, dietro le Autostrade, pulsano gli investimenti della Bce e della Banca Europea degli Investimenti, due istituzioni che nessuno, nei palazzi del potere, vuole inimicarsi. Così, la trattativa che doveva essere una passeggiata di salute, si è avvitata in uno stallo infernale, aggiungendosi alla lunga lista di pratiche governative lasciate a mezz'aria.

Per questo fatichiamo ad esultare, di fronte ai gossip economici delle ultime ore. Persino nelle indiscrezioni si parla ancora di "accordi preliminari". E il nodo principale resta sempre lo stesso: la valutazione economica di Aspi, un numerino che deve accontentare i venditori, ma anche la Cdp, che deve remunerare a livelli di mercato il proprio investimento, e per finire anche lo Stato, il quale dopo la tragedia di Genova ha promesso investimenti sulla rete e pedaggi più bassi.

Quindi mettiamoci comodi: siamo ancora in alto mare. Sicuramente Atlantia ha tutto l'interesse a tirare in lungo la faccenda, anche perché intanto continua ad incassare i pedaggi senza ridurre le tariffe come promesso. E poi, chissà mai che in futuro non subentri un governo ancor più amichevole. L'unica cosa certa, nel valzer di rumors, è la performance stellare dell'azienda a Piazza Affari nella seduta di oggi: evidentemente, secondo il big money, ad uscire sconfitti non saranno i Benetton.