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Smartphone ai minori solo con patente: la proposta di legge che divide l’Italia

Ci vuole la patente. Ma sicuro: la patente per il telefonino. Il governo ha fatto bene a proibire l’uso dello smartphone nelle scuole elementari e medie. Farà meglio ancora a estendere il divieto anche alle superiori, come annunciato dal ministro Valditara. Ma non basta. Bisogna fare di più: ci vuole la patente. Funziona così: chi è minorenne può usare il telefonino solo se passa l’esame. E l’esame va ripetuto ogni anno. In questo modo, qualora si manifestino sintomi di Nomofobia, la patente viene ritirata. E stop al telefonino. Che dite? Che non sapete cos’è la Nomofobia? Vedete che ci vuole la patente: usare il telefonino senza sapere che cos’è la Nomofobia è come andare in motorino senza sapere qual è il cartello del senso unico.

La Nomofobia (No Mobile Fobia) è la dipendenza da smartphone.  Chi ne soffre compulsa il telefonino in modo ossessivo, va in panico  se non lo ha sempre con sé, controlla di continuo che cosa stanno facendo gli altri, se ci sono messaggi o like,  e viene colto da ansia se la batteria si scarica o se non c’è campo. Conoscete qualche nomofobico? O lo siete voi stessi? Attenti perché, come scrive il professor Franco De Masi nel suo bel libro, appena uscito, No smartphone, lo smartphone per il nomofobico è come «l’ago per il tossicomane», e somministra «dopamina digitale ventiquattr’ore su ventiquattro». Tanto è vero che esistono già delle organizzazioni per il recupero  dalla dipendenza da Internet, che funzionano più o meno come gli alcolisti anonimi. «Mi chiamo Antonio e non bevo Instragram da una settimana…». «Mi chiamo Giulia e non mi ubriaco di Facebook da tre giorni…».

Per guarire, infatti, occorre prima di tutto prendere coscienza del proprio male. Altrimenti si rischia di finire come Matteo (nome di fantasia), l’adolescente nomofobico che pochi giorni fa è arrivato al Pronto soccorso di Orbassano (Torino) in piena crisi di astinenza: sguardo assente, voce impastata, mani che tremavano. «Passava tutta la giornata sullo smartphone, glielo abbiamo tolto», hanno detto i genitori. Matteo è stato ricoverato: stato di alterazione psicomotoria grave. Lo hanno calmato con ansiolitici  per endovena. E non è il primo caso del genere. Ferruccio Sansa sul Fatto quotidiano ha ricordato alcuni precedenti: dal ragazzo trovato alla stazione di Firenze mentre vagava senza meta e senza ricordare il suo nome («Overdose da schermi», dissero i medici) al ragazzino di Cuggiono, nel milanese, ricoverato su richiesta della famiglia in quanto «malato di Internet».

«Uscire dal tunnel è difficile», spiega il dottor De Masi, «perché le immagini che saturano il cervello sostituiscono la vita vera e hanno un potere ipnotico». Il mondo virtuale, infatti, è una specie di paese dei balocchi, creato apposta per dare l’illusione del piacere: non a caso porno, soldi e giochi sono sempre in primo piano per gli utilizzatori finali di smartphone. Lo schermo è una città luccicante sul cui corso principale ci sono soltanto postriboli e bische, mentre viene nascosto tutto il resto (cioè le cose serie e importanti). «L’uso dello smartphone apre i nostri sensi al piacere», scrive De Masi. E «fornendo tutte queste gratificazioni, crea facilmente dipendenza». Così il telefonino «da strumento di comunicazione» diventa paradossalmente «uno strumento di isolamento».

Da qui nasce l’idea del patentino. Perché il telefonino è proprio come il motorino: se lo sai usare è utile e dilettevole, se non lo sai usare si trasforma in un pericolo mortale. E allora perché per guidare il motorino bisogna superare un test mentre invece per guidare il proprio telefonino no? Il professor De Masi, nel suo libro, ricorda che in Italia ci sono già circa 32 mila ragazzi con la patente per il telefonino: hanno tutti superato regolare il corso e conseguente esame. Solo nella provincia di Verbania (che è all’avanguardia nell’esperimento) vengono «patentati» 1.300 ragazzi l’anno. E dunque: perché non estendere questo progetto a tutto il Paese? Perché non rendere il patentino obbligatorio? Lo so che  l’iniziativa non farebbe guadagnare molti like in Rete, ma potrebbe far guadagnare qualche vita. E, per quanto oggi possa sembrar strano, una vita continua a valere più di un like.

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