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Armani e Re Giorgio, pubblico e privato. Carla Vanni: «La nostra lunga amicizia»

«Con Giorgio ci siamo incontrati l’ultima volta qualche mese fa, all’inaugurazione della mostra dedicata alla sua Alta moda, nel grande Silos milanese progettato da Tadao Ando. Era una serata orrenda, di pioggia a dirotto. E sono arrivata completamente fradicia. Lui mi aspettava per fare una foto assieme. Io non avrei voluto in quello stato, ma alla fine ho detto di sì… Tra noi era naturale...».

Carla Vanni è stata un’amica - vera - di Giorgio Armani, oltre ad averne seguito per decenni lo straordinario successo dal più importante settimanale femminile italiano, ovvero Grazia, che ha diretto per quasi trent’anni. Come testimone diretta e privilegiata, sarà protagonista di un incontro nell’ambito del Ticinum Festival, domenica prossima 12 settembre, alle 18, nella Sala del camino, al Broletto, piazza Vittoria 15.

Un’occasione per parlare del più significativo stilista italiano, scomparso a 91 anni lo scorso 4 settembre, che è stato anche legato all’Oltrepo: a Cicognola, ai confini di Broni, c’era la sua Villa Rosa. E succedeva anche di incontrarlo per le strade di Pavia, magari appena uscito da una libreria. Nell’appuntamento di domenica, però, si parlerà anche della moda, più in generale, del Made in Italy e di un’epopea in cui il cosiddetto «fashion system» è stato un fenomeno sociale che ha lasciato il segno nell’economia e nella storia del costume di questo Paese. Carla Vanni l’ha raccontato in un libro ricco di aneddoti - Diario incompleto (di giornalismo e di moda) -, che è uscito di recente per Rizzoli e fornirà spunti per la conversazione di domenica pomeriggio.

Direttore (Carla Vanni da sempre preferisce che si usi il maschile per indicare il suo ruolo, ndr), perché lo stile di Armani è unico?
«È sofisticato, ma facile. Il suo segreto è rendere glamour, affascinanti, le donne normali. Anche le sue modelle sono sempre state diverse da certe icone aggressive, come per esempio Naomi Campbell che ha portato in passerella le creazioni di Gianni Versace. Nello stile di Armani l’abito è messo al centro. Ed è uno stile essenziale, con canoni precisi, che vanno al di là della stessa moda di una stagione».

Lei ha frequentato la grande casa di Cigognola?
«Molte volte, anche a Natale. Era uno dei rifugi preferiti da Giorgio, con il parco popolato da cavalli, alpaca, zebre… Da piccola, mia figlia aveva salvato un’oca e avevo chiesto a Giorgio di portarla nel laghetto della tenuta, non potendola certo tenere a Milano. Subito aveva detto di sì. Ma poi c’erano i cigni - molto territoriali -, e non era stato possibile… Cigognola è un luogo da fiaba eppure anche il posto in cui lui si sentiva davvero a suo agio e si rilassava con cose normalissime. Come invitare gli amici per mangiare i classici itortelli piacentini preparati da sua mamma. Qui si è sposata anche sua nipote, Roberta. Anni fa, quando lui si era ammalato in modo grave, aveva scelto di stare lì. Ricordo un pomeriggio, in cui mi ha telefonato per andare a trovarlo. Stavo chiudendo le pagine del giornale: sono partita subito per Pavia».

E la casa di Armani a Pantelleria?
«È stata una sua illuminazione di tantissimo tempo fa. Con Sergio Galeotti, il suo primo compagno, aveva scoperto questo piccolo dammuso. Era esaltato. Quella tradizionale abitazione isolana confinava con un’altra e una sera ci invitò con mio marito, nel suo appartamento di via Santa Cecilia a Milano, e ci propose di comprarne uno ciascuno. A noi piaceva moltissimo, ma dovemmo rinunciare. «Giorgio», gli dissi, «non abbiamo i soldi…». Dopo quel primo nucleo, fece di Pantelleria la sua isola dell’estate.

Con la scomparsa di Armani, che cosa perde la moda? E come stilista aveva compiuto la sua parabola creativa o, invece, era ancora capace di innovazioni?
«Il sistema moda perde un segno inconfondibile. Uno stile che, a dispetto delle critiche e talvolta del mercato, è sempre sé stesso, con coerenza. Negli ultimi tempi, la creatività di Armani si è espressa in modo più libero nell’Alta moda. Ma nelle collezioni del prêt-à-porter è rimasta testardamente fedele alle proprie matrici. E Giorgio ha fatto bene.

Nel suo libro, Diario incompleto, lei dedica ad Armani un intero capitolo. Una sua immagine che che le resta in mente?
«Certe sarete in cui ce ne stavamo distesi sul prato di Pantelleria. Parlavamo per ore di tutto, mai di moda. Armani, come me, era appassionato di cinema. In quelle occasioni si rivelava una persona diversissima dalla sua immagine, così severa. Era molto umano, voleva avere amici intorno a sé».

Ai vertici del design della moda italiana c’è un altro stilista, nato a Voghera. È Valentino. Lei ha conosciuto anche lui…
«Sì, ricordo la festa che ha organizzato per lo stilista la sua storica P.r. Barbara Vitti, proprio a Voghera, a cui sono stata invitata. La moda di Valentino, i suoi celebri abiti rossi, sono concepiti per una donna bellissima, quasi inarrivabile. È un modo speciale ed esclusivo anche di vedere il mondo. Trovo Armani più contenuto, legato al reale.

Lei, dopo trent’anni di direzione di Grazia, oggi collabora anche con l’edizione americana dello storico settimanale. Un osservatorio favorevole. La moda che ha contribuito alla fama del Made in Italy è ancora importante?
«La moda è sempre importante, anche se è difficile mantenere certi livelli di successo, dati i tempi. Tengo a sottolineare una cosa, di cui ho parlato con Giorgio e anche con altri stilisti. Tutti speravamo convinti che, dopo la pandemia, anche questa forma di creatività avrebbe avuto un ripensamento, sarebbe ripartita con un piede diverso. Purtroppo non è stato così».

Oggi emerge qualche personalità che per valore creativi si avvicini ad Armani?
«Non vedo designer con la stessa verve. Magari realizzano vestiti bellissimi, eppure senza la determinazione e l’idea forte di Armani. La sua giacca destrutturata è un capo che va al di là del tempo. Parla di moda, certo, ma anche di vita».

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