Stefano Parisi, ancora in vacanza con la famiglia in Toscana, tiene il profilo basso ma non smette di lavorare nell'ombra. Tanti i suoi contatti per organizzare la convention di settembre a Milano, momento clou per il suo futuro politico e per il polo moderato. Il manager nega ruoli ed ambizioni apicali, ripetendo di «voler soltanto dare un contributo al centrodestra»; e soprattutto esclude di aver già messo su una squadra al suo servizio. Non c'è un team al suo fianco né tantomeno un governo-ombra con i ministri ideali da lanciare o investire. La kermesse di Milano sarà un punto di partenza, non un punto d'arrivo. Certo, si stanno mettendo giù le idee per quello che potrebbe essere un programma ma nulla di più: niente organigrammi né pedine da indicare per i vari ministeri. E non sarà un vero e proprio programma di governo perché alcuni temi non saranno neppure toccati, dando la precedenza ai filoni cardine: fisco, pubblica amministrazione, burocrazia, lavoro, sicurezza e immigrazione.Sul fronte partito, intanto, il dibattito continua. Parisi minimizza nel vedere qualche colonnello azzurro particolarmente agitato di fronte alla sua ascesa. Qualcuno soffre ma qualcun altro è pronto a dargli una mano: oltre all'entourage ora più vicino al premier (Letta, Ghedini, Valentini, Giacomoni) sono in fila per aiutarlo anche Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo, Marin, Bernini, Tajani e Giro. Sulla mission di Parisi, l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini rivela: «Berlusconi gli ha chiesto di fare una revisione strutturale sia riguardo il contenuto politico che l'assetto organizzativo. Come accade in un'azienda quando si affronta una crisi strutturale e non congiunturale: in questi casi si deve rivedere tutto, non solo un singolo aspetto...». Parisi ribadisce il «no» alle riforme renziane e appena può rilancia l'idea dell'Assemblea costituente affinché il pollice verso non appaia un niet di conservazione; e studia il programma non lontano da Capalbio alle prese con i profughi.E proprio sul tema immigrazione Parisi ha un piano ben preciso che solo in apparenza sembra coincidere con quello enunciato dal prefetto e capo del Dipartimento immigrazione del governo, Mario Morcone. Il progetto di Parisi ricalca il one-euro-jobs, introdotto in Germania da Angela Merkel ma che in realtà ha proprio il copyright parisiano. L'idea è quella di impiegare i profughi nella manutenzione della città, facendoli per esempio falciare l'erba nei parchi, tenere puliti i giardini pubblici o ripulire dai graffiti le facciate dei palazzi. In cambio, gli immigrati avrebbero una retribuzione ridotta e però sarebbero obbligati a frequentare corsi d'italiano e di educazione civica. Il tutto sarebbe obbligatorio e provvisorio, in vista del loro rientro. Un approccio pragmatico, non ideologico, che avrebbe risvolti positivi anche per gli italiani: non vedrebbero più bivaccare centinaia di disperati nelle piazze delle loro città. Un'idea, questa, che nasce dal lontano 1998 quando Parisi era city manager di Milano con il sindaco Gabriele Albertini. All'epoca, proprio grazie a Parisi e al giuslavorista Marco Biagi, si fece pure un accordo con i sindacati sui contratti flessibili e a salario ridotto. Il Patto fu sottoscritto da Cisl e Uil ma boicottato dalla Cgil. Eterna nemica di Parisi.