Nonfarmale: maestro di restauri che ha lavorato in tutto il mondo
MANTOVA. È stato un protagonista del restauro a livello mondiale, spaziando dai dipinti alle sculture, passando per affreschi e chiese: Ottorino Nonfarmale se n’è andato giovedì all’età di 89 anni. Mantovano di città, nato da una famiglia di falegnami - il padre avrebbe realizzato, tra l’altro, gli arredi del bar Caravatti -, si era formato alla scuola di Arturo Raffaldini, partecipando ai restauri delle sale di palazzo Ducale e palazzo Te.
Verso la fine degli anni ’50 il trasferimento a Bologna, dove creò un suo laboratorio, divenendo presto un punto di riferimento nel suo settore. E nel 1969 creò l’attuale, grande laboratorio a San Lazzaro di Savena, quartier generale per i gruppi di lavoro che operano nei cantieri.
Ottorino Nonfarmale ha lavorato ai restauri di capolavori d’arte in tutto il mondo, riferimento indiscusso per i dipinti del Tiziano, ma anche di Giorgione e Guercino (dei quadri curava personalmente il lavoro di ripulitura), per non dire degli affreschi, come quelli dei Carracci, delle terrecotte (a partire dal Compianto su Cristo morto di Niccolò dell’Arca), delle sculture policrome. A Venezia curò il recupero della Basilica di San Marco e, a Palazzo Ducale, i lavori sui dipinti del soffitto della Sala dei Dieci. Altri lavori di prestigio furono l’Abbazia di Pomposa e il Battistero di Parma dell’Antelami. Oltre confine fu chiamato in Francia per la facciata della cattedrale di Chartres e per la Basilica di Saint-Denis a Parigi, mentre nel 1971 gli venne commissionato il recupero degli affreschi di Ben Shahn a Roosevelt, nel New Jersey, raffiguranti l’arrivo dei migranti europei in America.
A Mantova tornò di recente, per intervenire nella sala di Amore e Psiche di palazzo Te. «Alla sua città è sempre rimasto molto affezionato - racconta la nipote Barbara, che ora cura l’amministrazione dell’azienda, mentre il lato tecnico è seguito dal socio di Nonfarmale, Giovanni Giannelli, al fianco di Ottorino per 42 anni - anche se è tornato a lavorarci di recente». «Mi disse di provare una grande emozione nel tornare al lavoro in quel palazzo che lo vide impegnato da ragazzino, al fianco di Arturo Raffaldini» ricorda Emanuela Braglia, restauratrice mantovana che per anni ha lavorato con Nonfarmale, fungendo anche da capocantiere a Pisogne, in Val Camonica, nella chiesa affrescata dal Romanino. E descrive così il maestro: «È stato uno degli ultimi grandi restauratori e sperimentatori, fedele al concetto che il lavoro dev’essere reversibile e non deve sovrapporsi alla mano dell’autore. Ha affrontato il lavoro con modalità nuove, a volte estemporanee e non codificate. Questo non significa che non guardasse avanti: fu tra i primi a utilizzare microsabbiatrici di precisione in arrivo dagli Stati Uniti, fondamentali per l’intervento sulla Basilica di San Marco. Ma, dovendo risolvere problemi sempre diversi da opera a opera, sapeva creare strutture e mezzi per affrontarli nel modo più opportuno. Uno dei casi in cui l’esperienza diventa specialistica».
Un’attitudine, quest’ultima, che Nonfarmale ha appreso sicuramente da Arturo Raffaldini, la cui figura è raccontata in un lavoro della storica dell’arte Daniela Sogliani. E proprio Nonfarmale ha raccontato al giornalista e scrittore Stefano Scansani un episodio emblematico legato a un intervento portato a termine assieme al maestro. Era il 1944 e il Tempio Malatestiano di Rimini era stato quasi distrutto dai bombardamenti alleati. Il ministero dell’Educazione Nazionale ordinò ad Arturo Raffaldini di strappare dal muro e riportare su tela l’affresco di Piero della Francesca Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo. Il dipinto fu spedito a Mantova, nella Reggia gonzaghesca. L’operazione di incollaggio - prosegue il racconto di Scansani - avvenne nel Palazzo Ducale con un’economia di guerra. Serviva il caseato di calcio, un collante naturale per la riadesione degli affreschi alla nuova superficie, ma non era disponibile. Anni dopo Ottorino Nonfarmale svelò come quella sostanza fu riprodotta per via naturale, alchemica, con l’utilizzo del formaggio e degli albumi: «Per l’affresco di Piero, il ministero decise l’assegnazione straordinaria di un’intera forma di Grana, di latte e uova in abbondanza… L’intera forma fu ripartita fra i restauratori e i custodi di Palazzo Ducale e per l’affresco di Piero rimasero solo le croste». Proprio ieri, Scansani ha ricordato la figura di Nonfarmale durante un incontro al Festivaletteratura.
Nonfarmale ha insegnato all’Università di Genova e all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. Fino all’ultimo è rimasto in attività, svolgendo il lavoro che tanto amava e che ha contribuito a salvare molti capolavori dell’arte.