Investito e ucciso a 18 anni dopo una cena di classe, l’accusa della famiglia: pena troppo esigua per l’automobilista

LATISANA. «L’assicurazione ha liquidato il cento per cento del risarcimento, cosa che non accade mai se solo vi sia anche il minimo dubbio su un possibile concorso di colpa.

Il consulente tecnico nominato dalla Procura non ha ravvisato alcun tipo di responsabilità a carico di Kevin, attribuendo la causa esclusiva dell’investimento al comportamento dell’automobilista.

Difficile, pertanto, capire le ragioni che hanno portato il giudice ad accettare un patteggiamento tanto basso, motivandolo addirittura con un concorso di colpa a carico di nostro figlio».

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I familiari di Kevin Murataj, il 19enne di Latisana investito alle 23.18 del 26 maggio 2023, in viale Europa Unita, a Lignano Sabbiadoro, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, all’uscita dalla pizzeria dove aveva partecipato alla cena di maturità, e deceduto poco dopo l’arrivo al Pronto soccorso, hanno deciso di rompere il muro di silenzio dietro il quale finora avevano preferito chiudersi e dare così sfogo all’amarezza con cui, lo scorso febbraio, avevano accolto la notizia del patteggiamento a 1 anno di reclusione (sospeso con condizionale) applicato dal gup al 21enne di Codroipo che si trovava al volante dell’auto, un’Alfa Romeo Giulia. Epilogo giudiziario che, peraltro, la famiglia ha lamentato avere appreso dal giornale.

«La Procura di Udine non ha notificato alla famiglia né la chiusura delle indagini preliminari né la richiesta di patteggiamento dell’imputato – affermano Luca Infanti e Claudio Sforzin, responsabili di Giesse, il gruppo specializzato nel risarcimento di incidenti stradali che in questi mesi l’ha assistita –. Questo non soltanto ha impedito alle parti offese di costituirsi parte civile nel procedimento, come avrebbero fortemente voluto, ma le ha anche messe nelle condizioni di dover apprendere dai giornali la notizia e l’entità, davvero esigua, della pena, aumentando lo sconcerto in una situazione già colma di dolore».

Detto che l’omicidio stradale non rientra nel novero dei reati per i quali sia prevista la notifica alle persone offese della chiusura delle indagini preliminari, vale la pena ricordare come il patteggiamento sia stato concordato tra le parti (difesa e pm) in corso d’indagine e come sia proprio questa circostanza, norme processuali alla mano, a escludere anche la notifica della fissazione dell’udienza preliminare.

A ridimensionare la portata delle negligenze contestate all’automobilista e fare emergere il concorso di colpa del pedone erano state le risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti in indagine.

Fu il giovane – ha osservato il giudice in sentenza – a determinarsi ad attraversare la strada, nonostante il veicolo fosse prossimo alle strisce pedonali. La ragione per cui non se ne accorse è che «si trovava sotto l’effetto di sostanze alcoliche»: 0,98 grammi per litro di sangue il tasso alcolemico rilevato dal medico legale nel corso dell’autopsia.

«Kevin aveva bevuto un paio di bicchieri a cena, ma non esiste norma che vieti a un pedone di bere né di attraversare la strada dopo aver bevuto», precisano Infanti e Sforzin, ricordando piuttosto come fosse stato lo stesso consulente del pm ad attribuire la responsabilità esclusiva all’automobilista.

«Scrisse che viaggiava sulla corsia sbagliata e a una velocità non adeguata – così i responsabili di Giesse – e concluse constatando anche che una posizione regolare dell’auto sulla carreggiata già da sola avrebbe consentito una “evitabilità per sfilamento”: l’auto sarebbe transitata davanti al pedone, senza urtarlo».

Fin qui la ricostruzione tecnica. Altra cosa è l’aspetto emotivo. «Né l’automobilista, né i suoi familiari ci hanno espresso alcun tipo di scuse o anche solo un briciolo di vicinanza – osserva la mamma Elisabeta –. Da madre a madre, avrei agito in maniera diversa». —

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