Due marchi per l’Union Clodiense: i Ballarin e il granata
Cinque cambi di ragione sociale, otto campionati di Serie C, tre colori diversi di maglia; un unico, indelebile marchio di fabbrica: il granata targato fratelli Ballarin.
C’è un invisibile ma indelebile filo conduttore che tiene insieme la storia del calcio clodiense: attraversa l’intera pianura padana, stendendosi tra la laguna di Chioggia e la collina torinese di Superga: oggi, il ritorno trionfale in Serie C della squadra di casa dopo un digiuno di quasi mezzo secolo, avviene con addosso quella maglia dal colore legato alla leggenda del Grande Torino e ai suoi due fratelli chioggiotti, cui dall’ormai remoto 1950 è intitolato lo stadio cittadino.Una società piccola tra i big nazionali, ma che ne pareggia molti per anzianità di radici, orgogliosamente centenarie: già a cavallo della Grande Guerra, fieri quanto anonimi pedatori clodiensi disputano gare amatoriali nell’area dell’Isola dei Saloni, con una squadra cui hanno messo il nome di Igea.
Sono i prodromi del debutto ufficiale, che avviene l’1 gennaio 1920 con l’etichetta di Unione Sportiva Clodia e maglia biancoazzurra. La partenza è limitata a una serie di tornei, ma già nel 1922 la società si iscrive al campionato federale, dove tra alterne vicende e un’altra guerra mondiale arriva alla seconda metà degli anni Quaranta con un autentico exploit, approdando nel campionato 1946-47 alla Serie C, rimanendovi peraltro per una sola stagione.
Sono gli anni legati all’epopea dei fratelli Ballarin: Aldo, il più famoso, classe 1922, roccioso terzino destro, debutto nel Rovigo poi passaggi alla Triestina e al Venezia prima di approdare nel Torino dei record, cinque scudetti consecutivi dal ‘43; Dino, classe 1923, portiere, portato in Piemonte dal fratello.
Una riserva in maglia granata, che Aldo volle con sé nella tragica trasferta di Lisbona: scomparsi assieme ad altri 29 compagni nello schianto delle 17.03 del 4 maggio 1949. Non i soli nomi legati alla tradizione del calcio clodiense: dopo di loro, per non citarne che alcuni, Romano Penzo, poi con le maglie di Inter e Milan; Mario Ardizzon, Bologna e Roma; Franco Cerilli, Inter; Giorgio Boscolo, Genoa. E anche, negli anni Settanta, un emigrante di ritorno che oggi entra in Serie C alla guida della società in cui ha pedatato mezzo secolo fa, per diventarne poi presidente: Luigi Levantaci.
Classe 1947, leccese di origine, sbarca da bambino in Belgio con una famiglia in cerca come tante di un’alternativa alle dure condizioni di vita del paesello. Qui da giovane scopre la passione del calcio, e viene ingaggiato dal Beerschot di Anversa, dove gioca da centrocampista: un trampolino che nel 1973 lo riporterà in Italia, prima per una breve parentesi all’Avellino, poi nell’allora Union Clodia Sottomarina appena promosso in Serie C: dove farà sfracelli in attacco, diventando capocannoniere.
A reclutarlo è uno dei pochi veri esponenti della razza calcistica cresciuta da piccoli a pane e pallone: Franco Dal Cin, trevigiano di Vittorio Veneto, uomo di fiducia di un grandissimo del football, Teo Sanson; anch’egli di matrici trevigiane, di Conegliano, trapiantato a Verona, dove diventa il re dei gelati. Coltiva una passione per lo sport che primo in Italia s’inventa di sponsorizzare i pantaloncini dei calciatori; dal ’74 al ’76 è il patron della società clodiense valendosi di Dal Cin come braccio destro; nel ’76 rileverà l’Udinese in Serie C, e in soli quattro anni la porterà in Serie A.
C’è spazio di gloria anche a Chioggia, dove dal 1959 è nato anche il Sottomarina, salito ai fasti della serie C nel 1968, e rimastovi tre anni. La retrocessione in D del 1971 fa capire che due squadre nello stesso spazio sono non un lusso ma uno spreco: così il 14 giugno di quell’anno, al ristorante “Bella Venezia”, viene sancita l’unificazione, adottando il colore granata.
Scelta subito premiata: nel ’73 la squadra torna in C, rimanendovi fino al ’77, in piena era Sanson-Dal Cin. Da lì scivola su un piano inclinato che i clodiensi hanno però saputo risalire grazie al motto tutto veneziano “duri i banchi”.