Nella confusione fiscale ha colpa anche la destra, che non può essere un giorno contro le tasse e il giorno dopo sostenere la spesa clientelare. Se la difesa di proprietà privata e risparmio è prioritaria, servono piani coerenti per creare un «fisco di cittadinanza».
È già naufragata l'idea di un abbassamento dell'Iva lanciata dal Presidente del consiglio a conclusione degli Stati generali. Troppo incerti i numeri, troppi i disaccordi nella maggioranza, dove nessuno vuole rischiare manovre troppo decise. Il piatto piange, anche se l'impatto economico del lockdown non è ancora del tutto chiaro, e inizia a esserci la diffusa convinzione che la crisi economica possa essere peggio del previsto (Bankitalia stima un -10% del pil).
L'ammanco nelle case statali potrebbe esser superiore a ciò che si pensava e i finanziamenti europei potrebbero arrivare tardi e dilazionati nel tempo. Insomma, ci sono tutti gli elementi per una tempesta fiscale che potrebbe materializzarsi nella prossima legge di bilancio. In questo clima, la proposta di Giuseppe Conte sull'Iva si ridurrà a qualche esenzione specifica, a un ritocco tra pali e paletti.
La questione fiscale, però, resta aperta. Gli editoriali dei grandi giornali, i circoli economici e gli uffici del governo sono tornati di recente su una sempreverde idea: l'innalzamento della tassazione sugli immobili. Una proposta che convince gran parte della classe politico-burocratica, la quale vede nella tassa sulla casa un modo efficace per far entrare ricchezza nelle sempre più bucate casse dello Stato italiano.
Il lato propagandistico dell'aumento della fiscalità sugli immobili è sempre lo stesso, cioè quello di spostare la tassazione (mai ridurla) dalle persone alle cose. In altre parole, aumentare le tasse sul patrimonio per ridurre quelle sul lavoro. Vana illusione perché, in realtà, la storia degli ultimi anni ci illustra ciò che potrebbe realisticamente succedere, al di là della parabola della giusta tassa tentata dagli economisti mainstream.
Gran parte di ciò che lo Stato potrebbe racimolare da questa patrimoniale mascherata andrebbe a rimpinguare l'esangue bilancio del governo, incapace di ridurre la spesa pubblica. In questa maniera, il patrimonio privato ripaga il debito pubblico; il risparmio tappa i buchi delle politica irresponsabile. Ne farebbe maggiormente le spese la classe media, cui gran parte del patrimonio risiede spesso nella casa di proprietà, i lavoratori e le imprese dell'edilizia, e chi ha preso un mutuo.
Non si deve trascurare, inoltre, il fatto che in dieci anni il gettito fiscale sugli immobili è già cresciuto da 8 a 22 miliardi. A questo aumento di tasse si aggiungono le tasse locali (la Tari), oramai vera patrimoniale aggiuntiva; le imposte di bollo (cresciute anch'esse); le tasse sulle rendite finanziarie, che in un Paese liberale si chiamerebbero risparmio, anche queste aumentate notevolmente negli ultimi anni.
Un'idea, quella dell'aumento della tassazione sugli immobili, spesso accompagnata da quella di un innalzamento delle tasse di successione, per distruggere ciò che resta del risparmio italiano e mortificare chi ha accumulato ricchezza. Queste sono le visioni della sinistra, che pensa di creare uguaglianza distruggendo ricchezza, e dei «ceti tecnocratici», che pensano di modernizzare il Paese a suon d'imposte patrimoniali e invocando il «vincolo esterno» europeo, secondo cui si devono attuare certe politiche di repressione tributaria perché richieste da Bruxelles.
Ma nella confusione sulle questioni fiscali ci sono anche le colpe della destra, mai chiara nel credere in un'equazione che dovrebbe essere fondamentale: ogni euro di tasse in meno, un euro di spesa pubblica in meno. Invece, il centrodestra ha rinunciato da tempo a coltivare questa cultura anti-statalista e di liberale buon senso.
Inutile anelare alla flat-tax se non ci si rende conto che gli ammortizzatori sociali vanno razionalizzati, che il sistema pensionistico andrebbe progressivamente privatizzato e reso più flessibile, che non si può ad ogni legislatura assumere migliaia di precari della pubblica amministrazione e avallare le peggiori forme di sussidio statale a certe aziende (Alitalia). Non si può essere un giorno avvocati anti-fisco e il giorno dopo avvocati della spesa clientelare.
Se per la destra la proprietà privata e il risparmio sono in cima alla classifica dei valori da difendere, allora è bene che siano elaborati dei piani coerenti per creare un «fisco di cittadinanza». Niente aumenti di tasse sugli immobili, riduzione delle imposte sul reddito (e qui va bene anche la flat tax), abolizione progressiva dell'Irap, una pace fiscale per il rientro e l'emersione dei capitali e l'abolizione del sostituto d'imposta dovrebbero essere alla base di chi vuole un Paese libero e non uno Stato di polizia tributaria.
Il realismo impone la prudenza e la consapevolezza che tutte queste cose insieme non si possono fare subito o in poco tempo.
Tuttavia, si deve essere anche abbastanza saggi da ricordare che se la priorità è la difesa della proprietà privata e del risparmio da una sinistra sempre più dirigista e statalista, allora si deve sacrificare qualcosa della soverchiante spesa pubblica e della burocrazia di cui è sovraccarica la nostra economia. E tornare a pensare a forme di maggiore cooperazione tra pubblico e privato in settori come quelli della sanità, dell'istruzione e della previdenza. A credere, in definitiva, nelle imprese e negli individui, più che nel taumaturgico potere dello Stato e delle sue propaggini clientelari.