Punti forti (pochi) e punti deboli (tanti) della Harris, la vice di Biden
La candidata alla vicepresidenza democratica è molto conosciuta, sa condurre i dibattiti tv e aiuterà il partito a blindare il voto delle minoranze. Però non è amata dall'ala radicale dem, che la accusa di opportunismo e di incoerenza. E non è ferrata in materia economica.
La scelta è alla fine ricaduta su Kamala Harris. Dopo un'estenuante attesa, martedì scorso Joe Biden ha optato per la senatrice californiana come propria candidata alla vicepresidenza: il suo nome era del resto risultato parecchio gettonato nelle ultime settimane. «Ho il grande onore di annunciare che ho scelto Kamala Harris – una combattente senza paura per i più deboli e uno dei migliori funzionari pubblici del Paese – come mia running mate» ha twittato il candidato democratico. «Ai tempi in cui Kamala era procuratore generale» ha continuato l'ex vicepresidente, «lavorava a stretto contatto con Beau (figlio defunto di Joe Biden, ndr). Li ho visti sfidare le grandi banche, aiutare i lavoratori e proteggere donne e bambini dagli abusi. Allora ero orgoglioso e ora sono orgoglioso di averla come mia partner in questa campagna".
Di discendenza giamaicana e indiana, è – per quanto riguarda i due principali partiti – la prima candidata di colore alla vicepresidenza degli Stati Uniti, risulta la terza donna nella storia americana a correre come numero 2 della Casa Bianca (dopo la democratica Geraldine Ferraro nel 1984 e la repubblicana Sarah Palin nel 2008). La scelta è tanto più significativa oggi che, con un candidato democratico quasi ottantenne, la diretta interessata (cinquantacinquenne) potrebbe – in caso di vittoria novembrina – ritrovarsi addirittura catapultata al ruolo di presidente, dovesse Biden prima o poi ritirarsi per motivi di età o di salute.
Grande apprezzamento per la Harris è stato espresso dagli ambienti dell'asinello, a partire dall'ex presidente Barack Obama. Più sarcastico invece il fronte repubblicano, con Donald Trump che ha definito la senatrice «cattiva», dichiarando inoltre: «Ha fatto molto, molto male alle primarie, come sapete. Ci si aspettava che andasse bene. E ha finito con circa il 2% e ha speso un sacco di soldi. […]. Quindi ero un po' sorpreso che l'abbia scelta».
Adesso che il ticket democratico è al completo, si attende l'investitura ufficiale che – tra pochi giorni – avrà luogo in occasione della Convention di Milwaukee. Il punto è capire quale sia il senso strategico di questa scelta e – soprattutto – se Kamala Harris possa realmente aiutare Biden a conquistare la Casa Bianca il prossimo novembre.
Indubbiamente tra i nomi delle candidate che sono circolati negli ultimi mesi, quello della Harris – assieme a quello di Elizabeth Warren – risultava il più solido sul fronte della notorietà a livello nazionale. Il che è sicuramente un punto di forza. Così come, un altro punto di forza, spesso citato dai media americani, risiede nella sua capacità di affrontare energicamente i dibattiti televisivi. Senza infine dimenticare che, con questa scelta, Biden punta probabilmente a blindare il voto delle minoranze etniche.
Tuttavia, dall'altra parte, i problemi potenziali non sono affatto pochi. In primo luogo, è tutto da dimostrare che la senatrice sia in grado di aiutare Biden a federare internamente un partito – quello democratico – più diviso che mai su alcune questioni dirimenti (dall'ordine pubblico alla sanità). Nonostante Bernie Sanders abbia ufficialmente salutato con favore la sua scelta, non dimentichiamo che molti sostenitori del senatore socialista non hanno mai mostrato simpatia per la Harris, da loro spesso accusata di opportunismo politico.
Nonostante oggi si professi una liberal-progressista, la senatrice ha alle spalle una carriera da procuratore generale law and order in California: una carriera che, ai sandersiani, non è mai piaciuta. Stesso discorso vale per la sanità: durante le ultime primarie, la Harris si sganciò dalla proposta di Sanders di un sistema sanitario universale, creando così ulteriori attriti con il campo della sinistra.
Si tratta di fattori significativi che difficilmente potranno compattare l'intero partito dietro il vessillo di Biden. In secondo luogo, c'è un problema di coerenza personale. Nel corso delle ultime primarie, la Harris accusò Biden di pregresse connivenze con ambienti segregazionisti del Partito democratico, mentre – nell'aprile 2019 – disse di «credere» alle donne che, in quel momento, avevano accusato l'ex vicepresidente di molestie sessuali. Come si capisce, si tratta di scontri che vanno al di là della semplice e fisiologia dialettica di carattere politico e programmatico.
Una serie di evidenti contraddizioni su cui il comitato elettorale di Trump si sta già concentrando. In terzo luogo, Kamala Harris può costituire un problema agli occhi dell'elettorato cattolico: nel 2018, contestò la nomina di un giudice conservatore, in quanto facente parte dell'associazione cattolica dei Cavalieri di Colombo. La questione non è irrilevante: non solo perché Biden stesso è cattolico, ma anche perché il voto dei fedeli della Chiesa di Roma storicamente rappresenta un elemento fondamentale per poter conquistare la Casa Bianca.
Tra l'altro, non è neppure chiaro come elettoralmente la Harris possa aiutare il ticket a recuperare nel voto degli operai impoveriti della Rust Belt. Da sempre molto concentrata su clima e diritti civili, la senatrice non è troppo ferrata in materia economica. Il suo liberal-progressismo, inoltre, può essere una carta vincente in aree come California e New York (Stati che voterebbero per i democratici a prescindere), molto meno in Michigan e Pennsylvania: territori dove, anzi, le sue posizioni rigidamente ambientaliste potrebbero suscitare non pochi mal di pancia.
Infine, si scorge anche una questione caratteriale: per quanto, come notato, vanti indiscusse capacità oratorie, non è detto che questa si rivelerà una carta vincente. Non solo perché, nel corso di questa campagna elettorale, avrà un solo confronto televisivo con il vicepresidente Mike Pence. Ma anche perché la senatrice risulta spesso molto (forse troppo) aggressiva: un fattore che non è detto possa granché piacere all'elettorato americano. Del resto, alle ultime primarie fu costretta a ritirarsi prima del caucus dell'Iowa, viste le pessime performance sondaggistiche autunnali che – secondo la media di Real Clear Politics – la davano inchiodata al 4%.