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Nuova Libia, altro caos

L'addio del premier al-Sarraj a fine ottobre rischia di provocare anche la caduta del suo nemico, il generale Haftar, e scatenare tanti appetiti di potere. Intanto le superpotenze coinvolte sperano di insediare un loro uomo al vertice del Paese stremato da un decennio di guerra. E l'Italia rimane sempre più ai margini.


«Non siamo né con Haftar né con Sarraj. Siete tutti ladri. Dovete dimettervi e vogliamo le elezioni» sono gli slogan scanditi nelle inedite proteste di piazza, forse un po' pilotate, da Tripoli a Bengasi. Il premier Fayez al-Sarraj ha annunciato le dimissioni per fine ottobre. Il generale Khalifa Haftar è indebolito dalla sconfitta nell'assedio di Tripoli. «La popolazione vuole facce nuove da tutte e due le parti della barricata. La corruzione che interessa anche i fondi anti-Covid stanziati per il ministero della Sanità, la corrente elettrica che manca nella capitale per 20 ore al giorno e la disastrosa crisi economica stanno esasperando gli animi» spiega Rida, una fonte libica di Panorama.

Nella Libia che verrà spuntano volti «nuovi» come l'ex ambasciatore negli Emirati arabi, Aref Ali Nayed, e scalpitano personaggi potenti dal ministro dell'Interno, Fathi Bashagha, al vice di Sarraj, vicino all'Italia, Ahmad Maiteeq. Un risiko politico che si intreccia con i negoziati «fra turchi e russi per spartirsi la Libia ed evitare una nuova guerra» spiega una fonte diplomatica. «La vera domanda è se l'accordo reggerà a medio-lungo termine».

Dopo il cessate il fuoco di agosto, il fronte è congelato lungo la linea rossa che collega Sirte, in mano all'autoproclamato Esercito nazionale libico di Haftar, e la base aerea di Al Jufra, dove sono schierati i cacciabombardieri russi come deterrenza per qualsiasi avanzata dei governativi verso Est e i terminal petroliferi. «Haftar e Sarraj sono due figure speculari. Se cade uno, cade anche l'altro» osserva Paolo Quercia, docente di Studi strategici che sta preparando un libro sul Naufragio del Mediterraneo. «E quando cadranno, vorrà dire che le grandi potenze si stanno preparando a dividersi la Libia, non a sostituirli con altri leader. Dieci anni di guerra civile hanno impedito che emergessero alternative».

Sia a Tripoli sia a Bengasi e in altre città i libici sono scesi in piazza da fine agosto. Nella capitale i miliziani di Rada, una specie di polizia speciale, hanno sparato disperdendo le manifestazioni. In Cirenaica si è dimesso il capo del governo legato ad Haftar, come agnello sacrificale, Abdullah al Thinni. La Libia è stritolata dal blocco del petrolio ordinato dal generale dallo scorso febbraio. Il Paese ha già perso 9,8 miliardi di dollari e la produzione è crollata da 1,2 milioni di barili al giorno a 100.000.

L'ultimo tentativo di sbloccare lo stallo, che alimenta i black out e la grave crisi economica, è stato portato avanti da Ahmed Maiteeq, vice premier a Tripoli. Il successore in pectore di Sarraj si è incontrato a Sochi sul Mar Nero con Khaled Haftar, il figlio dell'uomo forte, un po' appannato, della Cirenaica, che controlla i terminal petroliferi. «La mossa di Maiteeq di dialogare con Haftar è stata favorita dai servizi russi» rivela una fonte di intelligence in prima linea in Libia. «Lui è filo-italiano, ma gli è andata male».

Un gruppo di miliziani ha attaccato la residenza a Tripoli del vice premier. Il presidente dell'Alto Consiglio di Stato libico, una specie di Senato, Khaled al-Mishri, di origini turche ed esponente dei Fratelli musulmani ha velatamente accusato Maiteeq di tradimento.

Le faide interne in vista della Libia che verrà sono spietate e destabilizzanti. Lo stesso Sarraj, che vorrebbe ritirarsi facendo l'ambasciatore a Londra, è bersaglio «di fortissimi ricatti compreso un video imbarazzante con la moglie in un albergo di Tunisi» rivela una fonte di Panorama a Tripoli. La consorte Nadia è una donna d'affari finita nel mirino da quando Sarraj ha deciso alcune nomine cruciali. Tutti d'accordo sull'incarico al colonnello Salah al-Din Al-Namroush come ministro della Difesa.

Gli attacchi a Sarraj sono partiti con il tentativo di nominare come ministro degli Esteri l'ex ambasciatore libico in Italia e ora alla Ue, Hafed Gaddur, che era un uomo di Gheddafi. Altre mosse azzardate le nomine di due boss dei miliziani, Imad Trabelsi della Brigata rivoluzionaria di Tripoli, e Lotfi al-Hariri ai vertici dei servizi segreti.

Il bubbone è esploso con le manifestazioni di piazza represse a colpi di fucile. Sarraj ha colto il pretesto per sospendere il potente Fathi Bashaga, ministro dell'Interno, che avrebbe orchestrato dietro le quinte le proteste. Alfiere dei turchi, punta a prendere il posto di Sarraj. «Bashaga era pronto a un colpo di Stato filo-Ankara» rivela la fonte di Tripoli, che conosce i segreti della capitale.

La minaccia sembra rientrata con il reinsediamento di Bashaga, che per il nostro Paese è un interlocutore fondamentale sulla crisi dei migranti. Il 22 settembre l'ambasciatore italiano, Giuseppe Buccino Grimaldi, ha incontrato il ministro dell'Interno per discutere degli ultimi sviluppi della situazione politica. «Il nostro Paese non è ancora tagliato fuori dalla Libia che verrà, ma ci siamo molto vicini» sottolinea Quercia. «Sarebbe estremamente pericoloso perché chi controlla Tripoli tiene in pugno l'Italia».

Anche in Cirenaica si stanno affilando i coltelli per la lotta alla successione. Il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, si è distinto da Haftar, ma il generale ha in pugno le truppe. Saleh aveva annunciato con Sarraj il cessate il fuoco estivo. Non a caso l'Unione europea ha cancellato le sanzioni nei suoi confronti, ma il personaggio, pur buono per tutte le stagioni, è anziano. Il vero emergente, ancora dietro le quinte, sarebbe Aref Ali Nayed, ex ambasciatore negli Emirati, miliardario al cinquantesimo posto fra i 500 personaggi musulmani più influenti al mondo. «Gli americani stanno tornando a interessarsi della Libia e trattano con gli Emirati, strenui sostenitori di Haftar, dopo l'avvicinamento con Israele. Ali Nayed potrebbe emergere a breve» spiega la fonte riservata di Panorama.

L'Italia in Cirenaica deve gestire la patata bollente della decina di pescatori di Mazara Del Vallo fermati a 38 miglia da Bengasi il 1° settembre scorso. Una «trappoletta» di Haftar, come sostiene l'intelligence, snobbato il giorno stesso dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in visita in Libia, che nell'Est aveva incontrato solo Aguila Saleh. La situazione si è complicata con la richiesta di liberare i pescatori in cambio di cinque pseudo calciatori libici condannati a 30 anni di galera in Italia come scafisti e per violenze sui migranti. Le pressioni sono aumentate con il supposto ritrovamento di droga a bordo dei due pescherecci sequestrati.

Sulla pagina Facebook dell'Associazione Progetto Isola di Mazara, che si batte per la liberazione dei pescatori, si legge chiaramente: «Gli armatori saranno costretti a portare parecchi soldini (a Bengasi, ndr) per trattare e pagare il riscatto di uomini e mezzi». Magari sotto forma di multa per avere violato la zona economica esclusiva, per il dissequestro del peschereccio o come cauzione per l'equipaggio.

La comunità internazionale sta preparando per il 5 ottobre una seconda conferenza di Berlino sulla Libia, dopo la tappa negoziale importante di Montreux, in Svizzera, agli inizi di settembre. Una riunione a porte chiuse sulle elezioni entro 18 mesi e un triumvirato con un rappresentante per ogni regione libica, come governo di transizione che dovrebbe insediarsi a Sirte.

Fra i partecipanti non sono mancati i seguaci del figlio più brillante di Gheddafi. «Appoggiamo la soluzione politica, non la guerra. Saif al-Islam deciderà se candidarsi, ma non puntiamo alla restaurazione, bensì alla riconciliazione nazionale» dichiara a Panorama Mohamed Gilushie, che fa parte dello staff politico del figlio di Gheddafi.

Un volo segreto avrebbe portato Saif a Mosca per colloqui riservati. I russi puntano a una base navale a Bengasi, come i turchi che si stabiliranno a Khoms, vicino a Misurata. Mosca non sostiene più Haftar come un tempo e secondo una fonte diplomatica «Saif potrebbe essere il catalizzatore della nostalgia per Gheddafi».

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