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«Costruire moschee potrebbe essere una soluzione, invece è sempre un problema»

Per il professor Paolo Branca, docente alla Cattolica di Milano, l'opposizione ai luoghi di culto islamici danneggia anche noi. Perché, non regolamentando i loro centri di preghiera, releghiamo i fedeli musulmani in "società parallele", come sostiene il presidente Emmanuel Macron, veramente pericolose. E li gettiamo nelle braccia degli estremisti. A partire dai Paesi del Golfo.


«Non possiamo lamentarci se gli islamici vanno a pregare nelle zone grigie, se impediamo loro di costruire moschee alla luce del sole». Il professor Paolo Branca è sconfortato. Docente di Lingua araba e Islamologia all'Università Cattolica di Milano, si confronta con l'Islam ormai da 40 anni. Cattolico praticante, Branca è stato nel Comitato per l'Islam italiano al Viminale con il ministro Roberto Maroni ed è stato nominato dal cardinale Angelo Scola responsabile del dialogo con i musulmani per la Diocesi di Milano. Panorama l'ha intervistato per capire il problema delle moschee in Italia.
In Italia abbiamo cinque moschee: Roma, Segrate, Colle Val d'Elsa, Ravenna e Forlì.

«La Grande moschea di Roma è l'unico ente morale islamico riconosciuto in Italia. È riconosciuta come luogo di culto, ovviamente, ma ha anche una personalità giuridica piena. Però è una moschea simbolica, dove vanno soprattutto gli ambasciatori e i diplomatici che stanno a Roma. Sul territorio sono più influenti i piccoli centri islamici che sono vicini ai luoghi dove abitano i praticanti. A Roma, per esempio, è più frequentata la moschea di Centocelle che non la Grande moschea, che si trova a Monte Antenne».

Poi c'è quella di Segrate.

«Attenzione, però: la piccola moschea di Segrate serve per i riti funebri prima della sepoltura dei musulmani nell'attiguo cimitero di Lambrate. Ma in realtà i fedeli pregano sotto un capannone».

In effetti è minuscola.

«È riconosciuta come moschea, ma certo non risponde ai bisogni di una comunità. A Colle Val d'Elsa c'è stata qualche forma di accordo con l'ente locale, come a Ravenna. Di Forlì non sapevo. So che c'era in ballo qualcosa anche a Firenze, dove si era mossa addirittura la Chiesa, che aveva messo a disposizione un terreno».

La Chiesa? Un paradosso…

«Non è tanto un paradosso, perché i cristiani, essendo credenti, possono capire l'esigenza di altri credenti di avere un luogo di culto».

Certo. Il paradosso è agli occhi degli «atei devoti».

«I non credenti o lo Stato guardano all'Islam soprattutto come a un pericolo legato al terrorismo e fanno finta di ignorare che il diritto di culto è costituzionalmente garantito e ci giocano per avere consensi. Il risultato è che siamo l'unico Paese dell'Europa occidentale in cui in pratica non esistono moschee riconosciute. Tra i Paesi che conoscono da decenni una migrazione consistente da parte di popolazioni musulmane, l'Italia è l'unica a non avere una regolamentazione. E ciò non può essere casuale».

È una vergogna.

«Alcuni dicono che le moschee non si possono costruire perché i musulmani non hanno l'intesa con lo Stato italiano. Ma neanche Scientology ha fatto un concordato con lo Stato italiano, eppure a Milano ha un'enorme chiesa su viale Fulvio Testi».

Scientology sì, l'Islam no.

«Nel corso degli anni sono state fatte delle proposte da parte della Coreis (Comunità religiosa islamica, ndr) e dell'Ucoii (Unione delle comunità islamiche d'Italia, ndr). Ma non sono state prese sul serio. Il dramma è che non si riesce a trovare una soluzione neanche nei centri piccoli, dove magari c'è già la terza generazione di marocchini che ha fatto tutte le scuole lì. Io conosco paesini della bergamasca, dove per esempio i figli degli immigrati sono stati allievi del sindaco, che fa l'insegnante, e sono nell'impasse perché le opposizioni si oppongono a qualunque proposta. E anche lì hanno dei locali che chiamano "centri culturali". Tra l'altro è tutto molto ipocrita perché tutti sanno che sono centri di preghiera, ma non si può dirlo. La verità è che spingiamo gli islamici a camuffarsi».

È vero che alcuni di questi centri sono luoghi di indottrinamento o di terrorismo?

«È assolutamente falso. Se anche qualcuno lo è stato in passato, si sa benissimo che oggi tutto viaggia sul web. I più pericolosi sono quelli che si autoradicalizzano, i lupi solitari che in precedenza sono stati ladruncoli e ubriaconi e che magari non frequentano neanche la moschea».

Ma la legge anti-moschee della Lombardia impedisce proprio la costruzione delle moschee?

«Non parla solo di moschee, ma di luoghi di culto. Tra l'altro ha messo in difficoltà anche la Chiesa cattolica, senza volerlo, perché ha inserito tutta una serie di punti legati ai parcheggi e alla distanza fra un luogo di culto da un altro luogo di culto, come se la gente uscendo da Messa andasse a picchiarsi. Mai successo, peraltro. Tutti pericoli ipotetici, che sono stati criticati anche dalla Diocesi di Milano perché mettevano in difficoltà l'edificazione di nuovi luoghi di culto cattolici».

La legge è poi stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta.

«Sì, da allora non ne ho più sentito parlare. Ed è un po' triste, perché questa non è una gestione del problema e tanto meno una sua soluzione. È strumentalizzare un problema e far diventare la sua non soluzione un argomento da sfruttare a fini politici, lasciando a se stessa un'intera comunità che è una delle tre grandi religioni monoteiste, imparentata con Ebraismo e Cristianesimo, con un miliardo e mezzo di fedeli al mondo. È la religione del mondo arabo, che tra l'altro è un nostro partner dall'altra parte del Mediterraneo. Tutto questo rivela una superficialità veramente sconfortante».

Le restrizioni sono poi davvero efficaci?

«Ma no... Prendiamo viale Jenner, l'unico centro legato in qualche modo a movimenti o personaggi inquietanti. È lì da 30 anni e mai nessuno l'ha chiuso o commissariato. Insomma, il messaggio che mandiamo è che in Italia non regoliamo niente a livello legislativo e quindi ognuno può fare quello che vuole. Prendere sul serio le leggi in Italia è da stupidi e lo sanno per primi gli italiani, figuriamoci gli altri...»

Ma il Comune di Milano non aveva fatto un bando?

«Sì, aveva fatto prima un Piano di governo del territorio e poi un bando relativo a cinque luoghi di culto non cattolici, di cui due o tre sarebbero dovute essere moschee. Lì purtroppo è scattata la rivalità interna dei musulmani. Il centro di via Padova si sarebbe dovuto spostare in via Esterle, ma è poi stato superato da un gruppo di bengalesi. E quindi alla fine il centro di via Padova, che era uno dei più moderati (il suo presidente, l'architetto Mahmoud Asfa, ha vinto l'Ambrogino d'oro), è stato tagliato fuori. Non è il massimo, se quando un ente pubblico fa uno sforzo, magari poco gradito dall'opinione pubblica, per risolvere un problema e le parti in causa si mettono a litigare fra loro. Anche perché molti sono legati ai Paesi di origine o ai Paesi finanziatori».

Il Golfo sarà in prima fila...

«Il Golfo ovviamente è in pole position. Tra l'altro noi non abbiamo immigrati del Golfo in Italia. Che i nostri musulmani abbiano rapporti con il Marocco o l'Egitto ci sta, perché vengono da là. Ma che vengano eterodiretti da Paesi ricchi che non hanno nulla a che fare con l'immigrazione, li rende meno liberi e indipendenti. Paradossalmente l'isolamento a cui li obblighiamo, lasciandoli nelle mani di finanziatori esteri, facilita quello che il presidente francese Emmanuel Macron ha definito "separatismo interno"».

Alla fine si ripercuote anche contro di noi, insomma.

«Noi abbiamo una grossa responsabilità. Non regolamentando questi centri, accettandoli come cose normali, li costringiamo a spostarsi in quelle zone grigie dove ci sono i veri pericoli. Tra l'altro un luogo di culto dovrebbe essere pulito, ben illuminato. Perché uno deve andare a pregare nelle catacombe? Questo induce in molti musulmani una reazione: "Siamo una religione non gradita, addirittura perseguitata". E questo risentimento può far scattare in alcuni una simpatia verso l'Islam radicale».

Intende dire che alimentiamo l'estremismo?

«Certo: è un brodo di coltura per cui, quando succede qualcosa di brutto, non ci può essere una disapprovazione totale. E il ragionamento diventa: "Non ci vogliono. Quello là avrà sbagliato, ma avrà avuto le sue ragioni"».

Si innesca un corto circuito, insomma?

«Esattamente. È un vicolo cieco da cui non si esce».

La mancanza di volontà di risolvere il problema non è però prerogativa della destra. Nessun governo ha affrontato il tema moschee seriamente.

«Sì. Io temo che la sinistra, quand'è al potere, non riesce a risolvere il problema perché sa che c'è un'opinione pubblica a disagio di fronte a queste tematiche. A Sesto San Giovanni, la Stalingrado d'Italia, la destra ha vinto le elezioni facendo campagna elettorale interamente sulla moschea. Come se l'unico problema di Sesto fosse la moschea. Tra l'altro era in periferia e avevano già speso 600.000 euro per la bonifica del terreno. La nuova giunta ha bloccato tutto e si è tenuta in centro la vecchia sede del centro islamico. Non si capisce perché, dato che spostandosi in periferia avrebbero dato meno fastidio».

Il risultato è che vanno a pregare in centro?

«Loro stessi cercavano di usare con moderazione questo stabile in centro, non andandoci tutti insieme per non creare disagi alla popolazione. Speravano di favorire il trasloco, che invece poi è stato bloccato».

Assurdo.

«L'obiettivo era vincere le elezioni senza una visione a medio-lungo termine e soprattutto senza amministrare con buon senso per risolvere i problemi. È bene che i problemi rimangano perché così diventano cavalli di battaglia per le campagne elettorali. Ma l'Italia è la patria del diritto. Con il diritto romano abbiamo insegnato la legge al mondo e ci siamo ridotti in questo stato penoso. Da non credere».

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