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Ripartire si può, ma con i mestieri digitali



  • LAVORO\1 Saranno algoritmi e intelligenza artificiale a reinsercirci nel mondo della produttività, grazie a piattaforme che, su internet, offrono corsi di formazione in base al mercato. I profili più richiesti? Esperti di robotica, di big data, di packaging e commercio online. Ma porte aperte anche nel settore della farmaceutica, della sicurezza e della comunicazione.

  • LAVORO\2 Dopo la pandemia prepariamoci a diventare freelance.

Alla fine, dopo aver inserito nel sistema tutti i miei dati, il mio curriculum, la mia storia professionale e dopo aver risposto a una serie abbastanza approfondita di test, le mie chances lavorative vengono rappresentate sullo schermo da due semicerchi: uno mostra il mio «indice di occupabilità», l'altro la richiesta di mercato. Avevo impersonato un direttore marketing di 35 anni, buona conoscenza dell'inglese, con varie esperienze in grandi aziende e un passato di organizzatore di eventi. Il primo semicerchio mi attribuisce un 85 per cento di indice di occupabilità per la posizione di direttore marketing, cioè ho i numeri per ricoprire questa posizione. Ma il secondo semicerchio mi dice che la richiesta di mercato per i direttori marketing è bassa.

L'algoritmo mi indica varie posizioni alternative alle quali potrei puntare con le mie caratteristiche: tra quelle ad alta richiesta di mercato c'è per esempio l'esperto di Seo (Search engine optimization) che tanto per cambiare opera nel mondo digitale. Sul video compare anche una mappa dell'Italia con le aree dove l'esperto di Seo è più richiesto. Il mio indice di occupabilità però scende al 45 per cento e per farlo salire dovrò arricchire il mio curriculum con una serie di nuove competenze che, naturalmente, il sistema è in grado di offrire: scorrendo il mouse posso vedere i corsi che potrei seguire stando a casa o venendo in sede. Sarà così che i reduci della pandemia ritroveranno il lavoro perduto nella più grave crisi del dopoguerra? Con l'aiuto di un algoritmo e dell'intelligenza artificiale? Non possiamo dimenticare che nel secondo trimestre 2020 sono stati perduti oltre 840 mila posti di lavoro, in stragrande maggioranza contratti a termine. E quasi metà dei nuovi disoccupati sono giovani sotto i 35 anni di età.

Alla Adecco, la più grande agenzia del lavoro operante in Italia con 50 mila lavoratori assegnati presso le aziende clienti, sono convinti che queste tecnologie saranno molto utili per aiutare le persone a ritrovare un'occupazione, tanto da aver creato una piattaforma, chiamata Phyd (Physical and digital) dedicata proprio alla nuova frontiera della formazione. Un assaggio del sistema fa subito capire quali sono i profili più ricercati nel 2021 dal mondo delle imprese, confermati da un'indagine di Adecco intitolata «Il mondo del lavoro post Covid-19». Nel settore dei beni di largo consumo saranno richiesti, per esempio, i manager esperti di commercio online e di packaging, per ridurre gli sprechi degli imballaggi. La logistica continuerà a crescere, visto che tante persone in smart working faranno acquisti online e in questo settore esperti di intelligenza artificiale, big data e robotica avranno le porte spalancate. Nella sanità e nella farmaceutica ci saranno molte assunzioni, specie nella ricerca. E più in generale in tutte le aziende saranno gettonate le figure professionali che si occupano di sicurezza (per gestire accessi e movimenti del personale), di comunicazione, di formazione a distanza e di intelligenza artificiale e big data, per spostare i canali di vendita dal mondo fisico a quello virtuale e portare le merci a casa del cliente. Saranno fondamentali i «soft skills», come la capacità di adattarsi, comunicare, inserirsi nei gruppi.

Ma la ripartenza non sarà uguale per tutti. Dall'alto della sua posizione di country manager di Adecco Group in Italia, e del suo metro e 96 di altezza, Andrea Malacrida, 46 anni, si dice molto preoccupato e un po' arrabbiato: «Negli ultimi due anni il governo non ha ascoltato gli operatori del settore e con provvedimenti come il decreto Dignità del 2018 ha ridotto la flessibilità del mercato del lavoro provocando di fatto un aumento della precarietà, come dimostrano i dati sulla disoccupazione: le aziende hanno assunto i pochi lavoratori a tempo indeterminato di cui avevano necessità e hanno eliminato quelli a termine. Siamo tornati indietro di vent'anni irrigidendo in maniera insensata il mercato del lavoro». In sostanza, c'è una responsabilità dell'esecutivo se tanti lavoratori a termine si sono trovati senza posto, una situazione esacerbata dalla crisi del Covid-19. Messaggio forte e chiaro per il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo.

Detto ciò, Malacrida vede un Paese a macchia di leopardo dove alcuni settori, come l'automotive e la meccanica, stanno riprendendo piano piano ad assumere, mentre altri sono in pieno boom, come il medicale, l'alimentare, le aziende che si occupano di sanificazione e, sopra tutti, chi si occupa di consegne. Sono ancora bloccati invece i settori legati all'ospitalità e al turismo. E le piccole e medie aziende stanno soffrendo. Ma quando il mercato ripartirà, sarà fondamentale far combaciare la richiesta delle aziende con le competenze delle persone, un problema che da anni affligge la società italiana: «Per questo gli algoritmi come quello usato da Phyd faranno la differenza» professa con ottimismo Malacrida, «capaci come sono di predire quali lavori sono richiesti e dove. E ti aiutano a cambiare per adeguarti ai cambiamenti del mercato».

Sarà. E intanto i giovani che cosa devono studiare? Nel mondo post-Covid, dove la ripresa dell'economia sarà trainata anche dal piano Next Generation Eu destinato a modernizzare l'Europa, quali saranno i corsi di laurea che offriranno più possibilità di trovare un'occupazione? La risposta è semplice: occorre orientarsi sui percorsi ad alto contenuto tecnico, scientifico e matematico (in sigla Stem: science, technology, engineering and mathematics).

Secondo l'University Report 2020 dell'Osservatorio JobPricing , i laureati in ingegneria, area scientifica e medicina hanno quattro volte la probabilità di trovare un posto di lavoro rispetto ai laureati in psicologia, scienze giuridiche e lettere. Non solo: le facoltà che prospettano le migliori retribuzioni (tra i 25 e i 34 anni) sono ingegneria gestionale, ingegneria chimica e dei materiali, scienze statistiche. Le peggiori sono scienze storiche e filosofiche, scienze della terra, lingue e letterature straniere.

«Ancora troppo spesso si studiano le cose sbagliate» commenta Alessandro Fiorelli, ceo di JobPricing. Che lancia un allarme: «La crisi del coronavirus in questo quadro d'insieme preoccupa, perché ci sono studi che parlano di 35 mila matricole in meno nel 2020 (-11 per cento) a causa delle ristrettezze finanziarie, dei problemi legati alla mobilità ridotta e dell'impatto di un distanziamento sociale duraturo sulla docenza. Il paradosso italiano di giovani che non studiano, anche se converrebbe loro, rischia di accelerare, purtroppo. E tutto questo mentre il mercato del lavoro, sulla scia della cosiddetta "trasformazione digitale", sta spingendo sempre più in alto la richiesta di competenze a tutti i livelli delle organizzazioni».

L'Italia ha dunque davanti a sé una grande occasione, quella di investire in istruzione per indirizzare sempre più giovani verso le lauree di natura scientifica: come sottolinea l'indagine di JobPricing, solo il 19,3 per cento della popolazione italiana ha un titolo di studio accademico, contro il 36,9 per cento medio dei Paesi Ocse. Se si considerano i giovani (25-34 anni) si sale al 27,7 per cento contro il 44,5 della media Ocse. Ci posizioniamo penultimi subito prima di Messico.

Inoltre l'Italia spende mediamente meno degli altri Paesi per l'istruzione: la spesa complessiva (dalla scuola primaria all'università) è pari al 3,6 per cento del Pil contro una media Ocse del 5 per cento. Davvero pochino: sarà l'era post-Covid a farci cambiare registro?

«Dopo la pandemia prepariamoci a diventare freelance»


Nei prossimi anni le aziende assumeranno sempre meno personale e affideranno a lavoratori esterni le mansioni non cruciali del loro business. È la previsione di Micha Kaufman, il fondatore e ceo di Fiverr, la piattaforma globale da 5 miliardi di dollari di capitalizzazione che ha reso semplice (come un acquisto su Amazon) l'ingaggio di un professionista pagato a prestazione. E la sua qualità sarà la garanzia contro il rischio di una «schiavitù digitale».

di Marco Morello

Questa intervista è frutto di una videochiamata di circa 60 minuti. Per sbobinarla, la scelta era doppia: fare in autonomia o rivolgersi a un'agenzia professionale di trascrizioni. Nel secondo caso, i preventivi variavano dai 40 ai 60 euro, con consegna garantita tra 24 e 48 ore. Alla fine, il costo è stato di 15 euro, un quarto della richiesta più alta: è bastato andare su Fiverr.com e scegliere uno tra i quasi 4.500 utenti disposti a svolgere quel compito in massimo due giorni. La spesa, in verità, poteva essere inferiore, ma la recensioni di chi si proponeva erano a volte contrastanti. Meglio andare sul sicuro e affidarsi a chi poteva esibire giudizi a cinque stelle. Il testo, in effetti, è arrivato puntuale e, salvo qualche sbavatura, corrispondeva al colloquio originale.

Fiverr è l'Amazon dei servizi freelance: non si confrontano né si comprano gadget tecnologici o prodotti per la casa, ma traduzioni, progetti grafici, sviluppo di app e pagine web, annunci pubblicitari su misura per TikTok oppure, com'è successo, videomessaggi di auguri recapitati da una sosia di Marilyn Monroe o da un acrobata specializzato nel lancio di coltelli. Le sottocategorie da esplorare sono più di 400. Il sito si è quotato l'anno scorso alla Borsa di New York e oggi ha una capitalizzazione che oscilla intorno ai 5 miliardi di dollari. Da poco è disponibile in lingua italiana, però è stato lanciato nel 2010, dieci anni fa, quando lo smart working era ancora la combinazione di due parole esotiche, un'eccezione per allergici al cartellino, un rifugio per diffidenti del posto fisso (o per chi, pur agognandolo, non ne trovava uno), certo non una consuetudine figlia di un'emergenza planetaria.

L'intuizione parte dunque da altrove, da più lontano, da una vecchia abitudine: «Per ingaggiare un professionista ci si affida di regola al passaparola, al consiglio dell'amico degli amici, al suggerimento di un collega. Noi abbiamo portato online ciò che nel 97 per cento dei casi si risolveva offline. Velocizzando le cose: in pochi minuti, non dopo giorni, si trova l'aiuto che serve» racconta a Panorama Micha Kaufman, l'imprenditore israeliano che della piattaforma è fondatore e ceo. Amichevole e diretto nei toni, sportivo assiduo, pilota di aerei e di barche, dà subito l'impressione di essere un appassionato delle sfide complicate: «Quello di Fiverr» dice a un tratto «non è mai stato un percorso semplice. Una persona non è un telefonino, non si porta addosso un numero seriale. Ognuno è diverso, ha le sue sfumature». Un Amazon di uomini, un e-commercedi competenze, è tutta un'altra storia.

Kaufman, come fidarsi di uno sconosciuto, che magari vive dall'altra parte del mondo, che può sbagliare o capire male il contenuto di un incarico? Quali garanzie ci sono?

Intanto la certezza di sapere l'importo finale che si pagherà e in quanto tempo sarà svolto un compito. Ci sono le recensioni, e pubblichiamo esempi plurimi del lavoro di un professionista, il che aiuta a farsi un'idea su di lui. Un livello di trasparenza mai esistito prima. Infine, la piattaforma si occupa di tutto: gestisce la transazione, ricorda la scadenza al freelance, facilita la comunicazione con il cliente, gli propone alternative similari se qualcosa non funziona.

Dalla start-up di nicchia che era, come ha fatto Fiverr a trasformarsi in una realtà internazionale presente in 160 Paesi?

Rispondo con un esempio. Immagini un bravo programmatore informatico che odia promuoversi, detesta vendersi, essere costretto a spingere sul marketing di se stesso per ottenere un cliente. Ecco, su Fiverr non occorre. Avviene tutto in automatico, ed è gratis. Basta iscriversi, registrare e catalogare la tipologia della propria prestazione e quella viene inserita nell'offerta del sito. La prossima volta che quel programmatore riceverà una notifica da parte nostra sarà per dirgli: abbiamo una grande notizia, hai un cliente e ha già pagato. Questi sono i dettagli, ora mettiti all'opera. È una formula rivoluzionaria.

Pensa che queste dinamiche diverranno la consuetudine in futuro?

Dal mio punto di vista, il 2020 segnerà l'inizio di una decade in cui le imprese troveranno una maniera per integrare i freelance nella forza lavoro dell'azienda. La pandemia ha insegnato che si può rimanere operativi da remoto, che le cose funzionano comunque. E vista la crisi economica, è necessario essere il più possibile efficienti. Perciò, penso che le assunzioni fisse avverranno sempre più attorno al nocciolo duro, alla specializzazione specifica di una compagnia. Mentre ciò che è periferico sarà affidato a lavoratori flessibili, indipendenti. Che ora, anche attraverso strumenti come Fiverr, possono competere con loro colleghi da tutto il mondo, magari residenti in zone nelle quali il costo della vita è inferiore.

Non si rischia una corsa al ribasso dei prezzi delle prestazioni? Di dover fare di più per guadagnare lo stesso, o persino di meno?

In verità, la corsa non è al ribasso. Al contrario, è verso l'alto: si punta alla ricerca della qualità. L'abilità di guadagnare soldi su Fiverr dipende di gran lunga dalla reputazione che il freelance si riesce a costruire. Più questa reputazione si alza, più cresce la domanda dei suoi servizi, più si possono aumentare le tariffe.

Senz'altro potrà valere per alcune mansioni, non in generale, non per quelle a basso tasso di specializzazione. La vicenda dei rider che si accontentano di quasi niente per portare il cibo a domicilio suona come un campanello d'allarme. Non teme di accelerare la deriva verso una schiavitù digitale?

Quello è un problema tipico della «gig economy», termine di cui oggi si fa un uso massiccio, che sembra descrivere ogni fenomeno e invece non ci riesce. La «freelancing economy» è qualcosa di differente. Tutti possono guidare una macchina o una bicicletta, non tutti sono capaci di sviluppare un software o creare un design convincente. Fiverr, inoltre, non richiede di indossare uniformi né di essere disponibili in una determinata fascia oraria per effettuare delle consegne. Non abbiamo il controllo di niente, si può decidere di lavorare quando e quanto si vuole, alla tariffa che si desidera. Credo piuttosto, soprattutto guardando al futuro, che il punto sia un altro.

Quale?

Bisogna confrontarsi con le forze politiche per ragionare sulla disciplina di questa nuova tipologia di lavoratori, su come provvedere a una loro assicurazione medica, su cosa fare per garantire loro una pensione, in che modo aiutarli in caso di disoccupazione. Non siamo noi a dover prendere le decisioni, è evidente, ma possiamo offrire un punto di vista privilegiato, dare voce a ciò che vediamo accadere sul mercato.

Le vostre intenzioni saranno certamente ottime, però la logica del prezzo basso l'avete inserita fin dentro il nome della piattaforma. Fiverr, in origine, indicava che tutto poteva essere fatto per cinque dollari. Alla luce dei suoi ragionamenti, ripeterebbe quella scelta anche oggi? Sceglierebbe lo stesso nome?

Certo che sì.

Non sarebbe una contraddizione?

Dall'idea iniziale dei cinque dollari ci siamo allontanati subito. Quel cinque oggi indica i minuti necessari per trovare un freelance sul nostro sito, racconta il servizio a cinque stelle che promettiamo di garantire.


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