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Colin P. Clarke: “Forse qualcuno l’ha tradito, la sua morte rafforza l’Isis”

Colin P. Clarke: “Forse qualcuno l’ha tradito, la sua morte rafforza l’Isis”

L’analista del Soufan Group: “Il movimento si rinnoverà con giovani reclute”

Ieri il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato che domenica scorsa gli Stati Uniti avevano condotto un attacco a Kabul provocando la morte dell’emiro di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri che ha guidato il gruppo dopo l’uccisione di Osama bin Laden nel maggio 2011. Al- Zawahiri sarebbe tornato in Afghanistan dopo il ritiro degli Stati Uniti e la successiva presa di potere dei taleban.

Uno degli studiosi che si è maggiormente occupato del gruppo terrostico è Colin P. Clarke, analista di antiterrorismo presso il Soufan Group, società di consulenza sulla sicurezza con sede a New York.

Clarke, Ayman al-Zawahiri viene ucciso in una casa a Sherpoor, centro di Kabul, a poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale. Quartiere che fino a un anno fa ha ospitato numerose sedi diplomatiche e uffici delle organizzazioni umanitarie, un luogo, in sui sentirsi apparentemente sicuro. Non certo un nascondiglio tra i monti, e decisamente un luogo simbolico.
«È sorprendente, infatti, e dimostra che Zawahiri si sentisse a suo agio nei movimenti in Afghanistan. Significa che si fidava dei suoi ospiti cioè dei taleban e soprattutto della rete Haqqani. Zawahiri può aver peccato di eccessiva fiducia, la scelta di una sede così esposta può significare che si sentisse forse troppo a suo agio con l’accordo che evidentemente aveva con la rete di potere afghana e che ha organizzato una sicurezza operativa decisamente inferiore alla media, aprendo una falla nella sua protezione che ha reso possibile l’attacco che lo ha ucciso».

Due giorni fa - prima che fosse svelata l’identità di Zawahiri tra le vittime dell’attacco Usa - il giornalista Bilal Sarway, ormai in esilio ha pubblicato un messaggio ricevuto da un funzionario taleban che rivelava che nell’area dell’attacco vivessero il capo di stato maggiore del ministro degli interni Mawli Zainudeen e il capo della polizia taleban di Kabul Mawli Hamza. Secondo alcuni rapporti, è stata proprio la casa di Mawli Hamza a essere stata presa di mira. Ieri il giornalista afghano Mohammed Natiq ha confermato che la casa in cui il leader di Al Qaeda è stato ucciso era proprio di proprietà di Mawli Hamza, capo della polizia, direttore dell’ufficio di Sirajuddin Haqqani e suo braccio destro. Nell’attacco sarebbero rimasti uccisi anche altri dodici affiliati ad al Qaeda e diversi funzionari taleban. Come analizza queste informazioni?
«Questo è un aspetto davvero affascinante della storia. Possiamo aspettarci due conseguenze: una resa dei conti all’interno dei ranghi più alti dei gruppi jihadisti e una nell’apparato di sicurezza taleban per tentare di determinare se c’è una talpa, qualcuno che deve aver lavorato per la Cia che potrebbe aver fatto trapelare le informazioni sulla presenza di Zawahiri in Afghanistan, le sue abitudini, i suoi movimenti».

Pensa che sia verosimile che una parte del movimento taleban possa aver contribuito a fornire informazioni su Zawahiri alla Cia per negoziare con l’amministrazione statunitense e indebolire la rete Haqqani, così influente nella gestione del potere?
«È una delle prime domande che mi sono posto, credo che tutto sia possibile. I taleban sanno che non è opportuno per loro mostrare che sono vicini ad al-Qaeda. Prevedo intrighi, lotte interne al movimento, pugnalate alle spalle. La morte di Zawahiri potrebbe causare una rottura nel movimento taleban e portare a spaccature che rischiano di avere ricadute difficili da prevedere al momento».

Ritiene plausibile che esponenti taleban in rotta con la rete Haqqani possano aver scambiato le informazioni su Zawahiri con la rimozione delle sanzioni?
«Tesi affascinante ma non credo sia possibile. Penso che la risposta sia in questo caso amaramente più semplice, cioè credo che siamo di fronte al caso in cui Zawahiri e i suoi uomini hanno gestito con sciatteria la sicurezza operativa e, questa presunzione ha portato l’intelligence statunitense a rintracciarlo e ucciderlo».

I taleban, come era prevedibile, hanno accusato gli Stati Uniti di aver violato gli accordi di Doha con i droni e l’attacco in suolo afgano ma, come è ovvio la principale violazione degli accordi è che i taleban hanno dimostrato di non aver mai interrotto i legami con al Qaeda. Che conseguenze avrà, questo, nella futura strategia degli Stati Uniti in Afghanistan? Pensa che un altro intervento militare sia plausibile?
«Non credo che l’elettorato americano abbia alcun desiderio di un altro intervento militare in Afghanistan. Tuttavia è ormai chiaro che i taleban e al-Qaeda non hanno mai rotto i legami, il che suggerisce che, anche se al-Zawahiri è morto, l’amministrazione statunitense è ancora molto preoccupata per ciò che accadrà in Afghanistan con il gruppo terroristico e deve interrogarsi su quali forme prenderà l’operatività di al Qaeda nel prossimo futuro».

Crede che la morte di Zawahiri indebolisca o rafforzi la presenza dell’Isis Khorasan in Afghanistan?
«Penso che nel breve termine la morte di Zawahiri sia un vantaggio per l’Isis Khorasan. Al-Qaeda si affretterà a sostituire Zawahiri e il dibattito all’interno dei circoli dirigenti di al-Qaeda potrebbe rivelarsi intenso. Più a lungo si trascina, più opportunità avrà l’Isis-Khorasan di braccare le reclute di al-Qaeda e forse lanciare un’offensiva più violenta in Afghanistan».

E cosa dice la morte di Zawahiri sul presente e sul futuro di Al Qaeda?
«Zawahiri è stato da molti ritenuto un mero “custode” del gruppo, ma è stato spietatamente pragmatico, si è rivelato più importante dal punto di vista strategico che tattico, per il gruppo, ha guidato il gruppo in anni attraversati dalle Primavere Arabe, dall’ascesa e la caduta dell’Isis, ha tenuto in vita al Qaeda e i gruppi affiliati che ha saputo indirizzare sebbene tutti questi gruppi, negli anni, sono diventati più autonomi e hanno dimostrato la volontà di agire più rispondendo a dinamiche regionali che globali. Zawahiri ha lavorato per coltivare legami con reclute più focalizzate su obiettivi locali e motivate nelle regioni attraversate dalle guerre civili e dalle rivolte. È così nel Sahel, nel Corno d'Africa: i jihadisti legati ad al-Qaeda hanno rafforzato i legami con la leadership centrale dell’organizzazione e sono rimasti sotto la sua direzione. La morte di Zawahiri elimina uno degli ultimi fondatori sopravvissuti ma possiamo immaginare che provocherà guerre intestine tra i leader più giovani di al Qaeda».

Chi sarà il successore di al-Zawahiri?
«Ci sono stati un certo numero di nomi diversi come potenziale successore di al-Zawahiri, in cima alla lista c’è il veterano jihadista egiziano di lunga data Saif al-Adel, che si ritiene viva in Iran. Altri includono Abdal Rahman al-Maghrebi, Yazid Mebrak (Aqim) e Ahmed Diriye (al-Shabaab)».

La domanda più difficile: quale reazione dobbiamo aspettarci da parte di al-Qaeda?
«Dovremmo innanzitutto aspettarci che al-Qaeda scelga come leader una figura unificante, qualcuno che condurrà al-Qaeda nel futuro, rafforzerà il gruppo e sarà in grado di reclutare le giovani generazioni di jihadisti per la causa del terrorismo globale. Ecco perché dico che ora, mentre si celebra un risultato così significativo per la lotta al terrorismo, dobbiamo però sottolineare quanto sia preoccupante che i membri di al-Qaeda si sentano così a proprio agio a Kabul, e che l’Afghanistan resti un rifugio sicuro per i terroristi. A dimostrazione che al-Qaeda era e resta una minaccia».

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