Il manifesto di Giorgia Meloni
Dalla Versilia la leader di Fdi inaugura la sua campagna elettorale: «Basta egemonie di sinistra. Mi accusano, non sono un mostro». Poi attacca l’Ue «senza strategia» e «la globalizzazione incontrollata»
INVIATO A MARINA DI PIETRASANTA (LUCCA). «Non sono un mostro». Sotto i pini della Versiliana, in quella che è nei fatti l’apertura anomala di una campagna elettorale anomala, Giorgia Meloni ha delineato il manifesto ideologico da aspirante presidentessa del Consiglio. Difesa della presentabilità della destra, attacco all’Europa, no alla globalizzazione, contestazione del Pnrr «che non sceglie le priorità», protezionismo economico «con uso estensivo del golden power». A sollecitarla (omaggiato «perché la pensa come la pensa») il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, che completa il suo personale triplete di interviste pubbliche, dopo Letta e Salvini.
Sfuggendo anguillescamente alle polemiche di coalizione (Salvini mai nominato) e alle domande dei giornalisti (con qualche ringhio di troppo), Meloni ha declinato il celebre «Io sono Giorgia» in un orizzonte di nazionalismo dal volto umano, che ha suscitato entusiasmo negli oltre 700 vacanzieri venuti ad ascoltarla sfidando caldo e posti in piedi. «Qui sono tutti ricchi», spiega il direttore di Libero Alessandro Sallusti, protagonista del dibattito precedente con Palamara. Molte donne, molto ingioiellate e molto milanesi per Giorgia. «Un trionfo - ammetterà alla fine Alfredo Benedetti, presidente della fondazione Versiliana – e lo dico io che pure sono di Forza Italia».
Meloni invoca una transizione istituzionale ordinata: «Draghi andrà avanti finché non ci sarà un nuovo governo». E difende il diritto «della maggioranza degli italiani di scegliersi un governo come nelle democrazia normali», a dispetto di «ingerenze straniere che costituiscono una mancanza di rispetto per la sovranità italiana», alimentate «da un potere che si sta muovendo ai massimi livelli».
Gli attacchi agli avversari sono in versione mélange. «L’accordo Pd-Calena semplifica e riporta il bipolarismo, che è buona cosa. Ma si tratta di una coalizione molto eterogenea, in piccolo quella che ha fatto cadere Draghi. Mi chiedo come faranno a mettere insieme un programma». Più aggressiva la rivendicazione di «voler parlare di contenuti, mentre per loro che vogliono scappare dal confronto è più facile, agitare l’indegnità dell’avversario, additarmi come il nemico, il mostro, evocare la paura, le dieci piaghe d’Egitto, l’Italia risucchiata in una voragine. Tutto abbastanza surreale, anche se è fastidioso che il primo partito di centrodestra sia dipinto come mostro. Equivale a dire che il 25% degli italiani è composto da mostri, io non consento questa rappresentazione della mia nazione». Fino alla caricatura di «elettori di centrodestra dipinti come analfabeti, incapaci di fare una croce, e di esponenti di centrodestra impresentabili, che si esprimono a gesti, tanto che molti sono rimasti choccati perché io ho scritto un libro». Venduto in cinque copie (la metà di quello di Palamara) nel banchetto della libreria Nina, in fondo alla pineta.
Nell’apparato ideologico meloniano c’è la contestazione di «un’egemonia di sinistra che non è culturale, ma di potere, avendo costruito una società in cui chi la pensa diversamente è considerato un paria: i buoni docenti sono quelli iscritti alla Cgil, i buoni magistrati sono quelli iscritti a Magistratura Democratica, i bravi scrittori sono quelli che frequentano certi salotti». Il rifiuto delle quota rosa per le donne «che non sono meritocratiche». E la denuncia di una «ideologia sessantottina» ancora viva, perfino «in salsa grillina sul reddito di cittadinanza», premiando inettitudine giovanile secondo «una concezione paternalistica dello Stato» che trasuda anche la proposta di Letta di dote ai diciottenni.
A livello macro, la critica a «un’Europa non all’altezza e senza strategia», la filippica con echi tremontiani contro «la globalizzazione incontrollata», l’appello alla difesa dell’identità a scorno del «tafazziano atteggiamento per cui abbattiamo le statue per cancellare la storia» e il rifiuto «dell’ambientalismo ideologico che devasta la nostra economia e favorisce la Cina», l’evocazione di «pratiche predatorie» da parte francese, agevolate da «una classe politica che ha svenduto pezzi d’Italia in cambio di una pacca sulla spalla».
Scarna e fumosa la par costruens. Concorrenza da promuovere «partendo dai Benetton e non da tassisti e balneari». Tasse da diminuire «a partire dal lavoro». Scuola da riformare con «licei del made in Italy» (boh?) al posto di «lauree in scienze della comunicazioni che non danno lavoro», seguendo il «modello Masterchef» che ha reso sexy il lavoro di cuoco.
Ma la platea gradisce, eccome. «Tieni duro», le grida un ragazzo inseguendola mentre si defila tra i pini con la sorella Arianna e la padrona di casa Daniela Santanchè, nella cui villa concluderà la serata. Da non sottovalutare, Giorgia. «Io sono sempre stata sottovalutata perché donna, di destra e pure bassa – rivela -. Ma essere sottovalutati è un vantaggio nella vita».