Quando le strade diventano una trappola mortale per i ciclisti: le storie di Davide, Silvia e quella legge bloccata in Parlamento
foto da Quotidiani locali
Chiamatela mattanza. Che i numeri confermano. Implacabili: 229 morti in bici nel 2021, 103 dall’inizio del 2022. Gli ultimi: Davide Rebellin, il campione di ciclismo ucciso a 51 anni mercoledì 30 novembre, nel Vicentino, da un camion (il mezzo è stato individuato, continua la caccia all’autista) e il 16enne travolto da un automobilista l’altra notte nel Ferrarese, con l’amico che lotta per la vita in ospedale.
E poi ci sono coloro che non ce l’hanno fatta settimane o mesi dopo un incidente. Oppure i feriti, le statistiche dicono oltre 18 mila l’anno scorso con un aumento di sinistri del 22%.
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Il ricordo di Silvia, morta a 17 anni
Numeri, morti e immobilismo, spesso ritornello d’Italia. E il Fvg non si sottrae alla mattanza. La tragedia di Silvia Piccini, la 17enne ciclista travolta e uccisa da un’auto mentre si allenava nella zona di Rive d’Arcano nella aprile 2021, è ancora ben impressa nella memoria.
Non basterà una legge, servirebbe il cambiamento radicale della cultura degli automobilisti (per carità, anche dei ciclisti) sulle strade. Per questo cambiamento ci vorranno anni.
Per una legge ci vorrebbero mesi, invece è attesa da anni. È la modifica del Codice della strada, in particolare dei capitoli 148 e 149. Diverse volte in questi anni abbiamo festeggiato: il traguardo sembrava vicino.
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Il simbolo del cambiamento è un numero, 1,5, che sta come metro e mezzo. Ormai in diversi Paesi d’Europa quel numero è diventato legge ed è stato impresso in migliaia di cartelli stradali. È la distanza minima che un veicolo da una bicicletta deve avere per poterla sorpassare.
Cartello salvavita
Quel numero, quei cartelli non sono un salvavita, beninteso, ma un simbolo di come la cultura del rispetto sulle strade dovrebbe vincere. In Friuli, ad esempio, la BikeFriend guidata da Giorgio Cervesato, da anni si batte a vari livelli per chiedere il rispetto dei ciclisti sulle strade.
Il simbolo del metro e mezzo circola. Anche grazie all’Associazione ciclisti professionisti. Appelli sui social, convegni. Purtroppo solo la morte di corridori famosi, ricordiamo quella di Michele Scarponi, travolto mentre si stava allenando nella sua Filottrano nel’aprile 2017 da un’automobilista, sembra dare un sussulto.
La modifica del Codice della strada
Ma non basta. Nel 2019 la modifica del Codice della strada stava per diventare legge. Nulla. Via un governo, via l’altro, altre emergenze, il Covid, finché a inizio novembre il neo deputato del Partito democrratico ed ex ct dell’Italvolley, Mauro Berruto, ha presentato una proposta di legge per modificare il Codice della strada e introdurre quel benedetto numero, simbolico quel che volete, ma anche i simboli hanno la loro importanza, del metro e mezzo.
E ora? Dovremo aspettare altre vittime? Mentre alcuni Comuni, per fortuna, si muovono, pur in ordine sparso, un altro problema, come se ce ne fosse bisogno, si staglia all’orizzonte del complicato rapporto tra ciclisti ed altri veicoli su strade sempre più trafficate.
Cosa succede a Buja
Buja è universalmente riconosciuto come paese simbolo del ciclismo in Friuli. Per i campioni presenti, su tutti l’olimpionico Jonathan Milan e il veterano tra i pro Alessandro De Marchi, ma anche Bujese e Jam’s Bike, due squadre ciclistiche giovanili che portano tra strada e fuoristrada oltre 150 atleti.
L’amministrazione comunale, su sollecitazione di De Marchi, da sempre in prima linea sul fronte sicurezza, da oltre un anno ha piazzato una trentina di cartelli col numerino 1,5 metri nei punti chiave della viabilità.
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In attesa che altri Comuni ne seguano l’esempio, e magari la Regione – e farebbe una cosa senza precedenti in Italia – si faccia capofila di un progetto capace di coinvolgere tutto il territorio sul tema, gli appassionati non possono far altro che uscire in bici e sperare di non finir male in questa roulette russa dell’inciviltà.
E il caricatore ha diversi colpi. Uno è sottovalutato in Italia, all’estero – e la Francia è un esempio a conferma di come la cultura della bici faccia parte di quella del paese, e non solo per il Tour de France – no.
C’è una “zona d’ombra” quando un camion a rimorchio cambia traiettoria, che impedisce all’autista di vedere ostacoli ai lati del mezzo. In Francia, ad esempio, è obbligatorio piazzare almeno degli adesivi ai lati dei Tir per far avvisare del pericolo automobilisti, ciclisti e pedoni. Niente di risolutivo, ma è un segnale di attenzione. In Italia? Nulla.
E mentre le stesse associazioni degli autotrasportatori invocano l’obbligo di mini-telecamere capaci di aiutare l’autista, i ciclisti vengono falciati. E si fa poco. In attesa che capiti a un altro.