Usare i morti in mare per colpire i vivi
L'opposizione che è defunta nelle urne spera di resuscitare in mare, sulla pelle delle vere vittime. L’obiettivo di chi protesta non è accertare i fatti, bensì attribuire oltre ogni logica una responsabilità diretta delle autorità italiane nel naufragio.
Gentile Belpietro,
un naufragio colpisce sempre e crea un fenomeno di pubblico dolore per lo meno ostentato. In questi giorni nasce un interrogativo: perché è così importante il naufragio nel mare di Crotone, quando negli anni scorsi incidenti simili sono stati numerosi e ripetuti con cadenze che li hanno resi abituali? Non era mai successo che si creassero scontri politici di tale risonanza da occupare per giorni i media e la politica. Dipende dalla posizione di Crotone, dal luogo di partenza oppure più semplicemente è pretesto di chi vuol colpire l’avversario che lo ha spodestato? Se fosse così, sarebbe la dimostrazione di una inaccettabile miseria morale. Gianni Oneto
Caro Gianni, le vittime a quanto pare non sono tutte uguali. Se i morti sono albanesi ed erano a bordo di una nave speronata dalla Marina militare su ordine del governo guidato da Romano Prodi (nel 1997 la Katër i Radërs colò a picco nel Canale d’Otranto dopo aver urtato una corvetta italiana e i morti accertati furono 81), c’è poco da indignarsi. Ma se un barcone carico di migranti afghani, turchi e tunisini affonda nel mar Ionio senza che ci sia alcuna responsabilità né della Guardia di Finanza, né della Guardia costiera, perché nessuno – nemmeno i naufraghi – ha lanciato l’allarme, lo sdegno nei confronti del governo è enorme. Due pesi e due misure, ma soprattutto una sola grande ipocrisia. Infatti, è sufficiente ricostruire i fatti, in attesa di quelli che saranno accertati dalla magistratura, per rendersi conto che le responsabilità non sono certo dell’esecutivo, ma semmai di chi gestisce un traffico criminale di esseri umani.
La nave carica di profughi era partita dalle coste turche e, a differenza di altre che puntano ad arrivare in un porto sicuro italiano, dirigeva con tutta probabilità verso una spiaggia, dove ad attendere gli scafisti c’erano altri componenti della banda. Primo, chi era al timone dunque non era inesperto. Secondo, il «capitano» di quella nave ha fatto tutto ciò che era possibile per non attirare l’attenzione. Infatti, nonostante le condizioni marittime non facili, non ha lanciato alcuna richiesta di soccorso. Né lo hanno fatto i migranti a bordo, i quali, dalle ricostruzioni mandate in onda in un servizio della trasmissione Cartabianca, hanno scritto ai parenti di vedere la terra, tranquillizzandoli. Dunque, fino a poco prima dello schianto, non c’era alcun allarme. Del resto, i natanti della Guardia di Finanza, usciti per intercettare l’imbarcazione dopo una generica segnalazione aerea, non hanno captato alcun segnale e solo più tardi, dopo essere rientrati a causa del mare mosso, sono riusciti a identificare le coordinate.
A questo punto, secondo le generiche accuse degli indignati speciali, avrebbe dovuto muoversi la Guardia costiera, che ha mezzi in grado di affrontare anche le onde più alte. Peccato che per raggiungere il luogo del naufragio, i mezzi della Capitaneria avrebbero impiegato più di un’ora e dunque il loro intervento non sarebbe servito a evitare l’affondamento. I semplici orari e la lettura degli eventi consentirebbero di smorzare qualsiasi polemica. Ma l’obiettivo di chi protesta non è accertare i fatti, bensì attribuire oltre ogni logica una responsabilità diretta delle autorità italiane nel naufragio. In pratica, si usano i morti per colpire i vivi. Un’opposizione che è defunta nelle urne spera così di resuscitare in mare, sulla pelle delle vere vittime. Da cronista so che in politica si strumentalizza tutto e ognuno tira l’acqua al proprio mulino. Tuttavia, mi pare che stavolta si sia fatto uso di una buona dose di cinismo. Basta sfogliare le raccolte dei giornali degli scorsi anni per accorgersi che nel passato ci sono state tragedie anche più gravi, ma né per il naufragio del 2013 al largo di Lampedusa (oltre mille morti), né per quello del Canale di Sicilia (600) si sono tirate in ballo la Guardia di Finanza, la Capitaneria o la Marina militare.
Non erano anche quelle vittime dell’immigrazione? Non avevano anche loro diritto a essere salvati? Sì, ma essendoci governi di sinistra, i giornaloni hanno preferito evitare le polemiche. Ho dato uno sguardo a una statistica dell’Unhcr, ossia dell’agenzia Onu che si occupa di aiutare i profughi. Dal 2014 sono morte nel Mediterraneo 26 mila persone, la metà delle quali concentrate nei tre anni in cui al governo c’erano Enrico Letta e Matteo Renzi. Il minor numero di vittime in mare è stato registrato tra il 2018 e il 2019, quando al ministero dell’Interno c’era Matteo Salvini. Questo vuol dire che Letta e Renzi sono responsabili della morte di 12 mila migranti e Salvini è il salvatore dei profughi? Non lo penso assolutamente.
Tuttavia, non si può ignorare un dato incontrovertibile. Più migranti partono e più ne muoiono. Le tragedie, mi dice un importante investigatore, sono nelle cose. Invece di fare polemica, per rispetto delle vittime dovremmo tacere. Nessun italiano voleva la morte delle famiglie imbarcate sul caicco affondato a Cutro. E credo che nessun italiano voglia usare la morte di bambini, uomini e donne per fare campagna politica. Pietà, se non per gli elettori, almeno per le vittime.