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Europa, la quadratura del triangolo: il voto francese e il domino della nuova Ue

Europa, la quadratura del triangolo: il voto francese e il domino della nuova Ue

Parigi è adesso al bivio tra l’onda europeista e una cautela sovranista dall’anima euroscettica

Un vecchio proverbio francese assicura che la pioggia a San Marco è il sintomo di un raccolto di mele condannato a essere poverissimo. La profezia contadina viene verificata da secoli ogni 25 aprile, ma quest’anno rischia di passare in secondo piano, azzerata dall’interesse per tutt’altra serie di eventi globali destinati ad essere influenzati da quanto accadrà nel giorno in cui si ricorda l’Evangelista di Cirene. Parigi comunicherà il nome del nuovo presidente de la Republique e, a seconda di come si sarà votato nei seggi d’Oltralpe, i destini dell’Europa imboccheranno l’una o l’altra strada, saranno coerenti sulla via dell’Unione che fa la forza, prenderanno una piega alternativamente europeista o, terzo caso ipotetico, violentemente euroscettica. Comunque vada, sarà un effetto domino certo intrigante e non privo di rischi.

Per quanto ne sappiamo ora, l’uomo dell’Eliseo potrebbe essere Emmanuel Macron, presidente uscente, centrista accusato di aver tradito la sinistra, un europeista attento alle prerogative francesi, amico dell’Italia, possibile sponda per una riforma che crei un’Unione più solidale, flessibile e moderna. Oppure potrebbe essere una donna, Valérie Pécresse, casacca Repubblicana, moderata tendente al tradizionalista, aspirante Lady di Ferro “a la Thatcher” con un passato da ministro del Bilancio in cui s’è fatta conoscere per la predisposizione ai tagli di spesa. Uno “schiacciasassi”, dicono i suoi nemici. “Destinata al ballottaggio al posto di Marine Le Pen”, rivelano i sondaggi che le danno la possibilità di uscire vincitrice. In effetti, al duello col più europeista dei presidenti francesi dai tempi di Mitterrand, potrebbe coagulare le forze conservatrici e fare il colpaccio.

L’Europa attende. Con i soliti dolori esistenziali e di sviluppo coordinato difficile che i Ventisette non riescono a lenire nemmeno con la consapevolezza di essere all’ombra della stessa barca e in preda a una pandemia. Sarà anno di insidie, il 2022, servirà sulle mense difficoltà grandi quanto le speranze. L’incertezza c’è, prevedibile. L’economia rimbalzerà se il virus sarà imbrigliato dai vaccini. Aiuterà la liquidità abbondante, tanti denari quanti non se ne sono mai visti, grazie anche alla prima concessione alla cassa comune europea a cui i virus hanno persuaso i governi nazionali. Tutto intorno c’è l’Asia turbolenta, la Russia che scalpita, l’America di Biden alleata ma un po’ scompaginata. «Le tensioni geopolitiche e militari sono in aumento», hanno scritto a quattro mani Macron e Draghi sul Financial Times.

Bisogna investire. Riformare l’Unione, economicamente e politicamente. Sul tavolo danzano dossier importanti come l’abolizione del voto all’unanimità, il salario minimo, la sfida alla crisi climatica, l’intervento organico sulle fonti di energia scarse che gonfiano le bollette, la regolamentazione delle Big Tech, il controllo dei migranti, la nuova Schengen e, dolcemente in fondo, lo scongelamento del Patto di Stabilità con la conseguente auspicata (dall’Italia e non solo) revisione in senso flessibile. È ormai un luogo comune che l’Unione europea abbia bisogno di una crisi per cambiare pelle, a vent’anni dall’introduzione fisica della moneta unica. La crisi c’è e ha avuto il suo effetto. Ma le soluzioni ai problemi che ci attendono richiedono leader lungimiranti e qui il quadro è poco chiaro.

Ricominciamo con la variabile Macron. È in testa ai sondaggi. Dal primo gennaio, avrà anche la presidenza di turno dell’Unione, compito a cui si affiderà per il bene collettivo, ma anche e forse soprattutto personale. Vorrà dimostrare che l’Europa sa pagare dividendo - sull’economia, sul sociale, sulla protezione dei confini - e giustificare così davanti all’elettorato la sua scelta a dodici stelle. Nei primi quattro mesi dell’anno condurrà il valzer di Bruxelles, appoggiandosi al consolidato patto con i tedeschi e dunque sul neocancelliere Scholz, socialdemocratico favorevole - sebbene con prudenza - a una evoluzione in senso più federale dell’Unione, verso la maggiore “sovranità strategica” di cui si sogna molto nei quartieri europeisti. Lo aiuterà l’Italia, se ci sarà continuità. Con Draghi, Macron si è trovato bene (sei bilaterali in 9 mesi!) a scandagliare i fondali delle cose comunitarie. Ma se si vedranno ancora, allineati, è una scena che richiede fede nella capacità di comporre il cubo di Rubik.

Scenario uno. Il presidente francese è confermato e si butta a rinvigorire l’asse con i tedeschi, strumento consolidato di pace continentale al quale è ancorata da sempre l’Unione. Scholz non è Merkel e questo potrebbe riequilibrare i pesi dopo sedici anni. Ci saranno compromessi: sull’energia (coi francesi che giudicano “verde” il nucleare e Berlino che vorrebbe che il gas fosse considerato altrettanto) come sul sociale (con una maggiore e condivisa sensibilità di protezione dei lavoratori).

Il Patto di Stabilità sarà un osso più duro. La pandemia ha congelato i vincoli di Maastricht e ha consentito a tutti di spendere con ottima libertà. Dal 2023 dovrebbe tornare in vigore. Come prima? Non proprio. Parigi e Roma vogliono allentare la gabbia dei parametri, la Germania non è ancora convinta o, per lo meno, non si scopre sino in fondo. «Le regole che abbiamo contengono una loro flessibilità, sulla loro base possiamo lavorare anche in futuro», ha precisato Scholz a Roma. Sibillino, certo, ma visto da dove viene, è un’apertura da valutare in triangolo con l’Italia. Se il nostro governo rimarrà nella dimensione draghiana, si potranno fare dei passi avanti con un Patto che privilegi la tendenza più che i numeri.

Scenario due. Vince Valérie Pécresse. L’asse francotedesco, a quel punto, richiederebbe una ragguardevole manutenzione. Una moderata di destra a braccetto con un socialdemocratico è il preambolo di un duello. Conforta il ricordo di Chirac e Schroder, che scolpirono una dimensione comune a cavallo del secolo scorso; i due condottieri del 2022 dovrebbero però dimostrare di avere lo stesso lignaggio, cosa tutta da verificare. Nonostante il Trattato del Quirinale, le relazioni franco-italiane potrebbero essere più complesse. Le elezioni politiche sulla Penisola, anticipate o nel 2023, potrebbero tuttavia esprimere per Palazzo Chigi un premier omogeneo con la “Schiacciasassi”, col risultato di creare buone comunicazioni fra Roma e Parigi, ma non certo di far sorridere gli europeisti. Il ruolo di mediatore di Berlino diventerebbe più articolato. E un’Italia meno convincente per debito e riforme avrebbe l’effetto di nutrire le perplessità dei falchi del Nord. Il nuovo Patto di stabilità ne risulterebbe più ostico di quanto auspichiamo ed è certo necessario.

Una terza ipotesi, quella di Marine Le Pen o di Éric Zemmour, viene ritenuta improbabile. Così il domino si svela fra le combinazioni di intenti di Macron, Pécresse, Scholz, Draghi e il premier italiano che sarà, prima o poi. Può imporsi la continuità. O possono attenderci un cigno nero o un rinoceronte bianco. L’esigenza è chiara. Il 2022 è un anno di cerniera fra la crisi e lo sviluppo consolidato. Macron presidente di turno dell’Unione ha tutti i soliti problemi, più i vaccini, Omicron e persino le calunnie alla moglie, accusata di essere stata un uomo! Segno dei tempi velenosi che la signora Pécresse interpreta bene.

Molto è cambiato da che De Gaulle etichettò come “les volapük” gli europeisti più ottimisti, richiamandosi a una lingua artificiale che si cercò di lanciare alla fine dell’Ottocento. Ora il dibattito è in genere su “quale Europa”, non “sull’Europa”: il mercato o una entità più vicina all’integrazione federale, confronto perseguito non senza confusione. Le difficoltà dell’Unione si alimentano degli scheletri delle idee scettiche di ieri, focolai obsoleti che pure non vogliono spegnersi. «L’Ue deve ravvivare lo spirito che ha guidato le sue azioni all’inizio della pandemia nel 2020», è l’auspicio congiunto di Draghi e Macron. La risposta logica è ripartire dal triangolo Parigi, Berlino e Roma, sempre che i tedeschi vogliano e non è detto. Un buon viatico, ma chiaramente non basterà.

L’Europa è progetto più complesso di quel che pare e funzionerà solo se sarà veramente inclusiva e rispettosa delle identità nazionali. Così il voto in Polonia nel 2023, un anno prima del ritorno alle urne per il Parlamento europeo, deve far ragionare su un altro triangolo, quello di Weimar, composto da Parigi, Berlino e Varsavia. Il motore degli ideali e di pace e progresso che ha sospinto l’integrazione non può girare bene se non baderà alle esigenze di tutti. Deve oliare le relazioni fra i Grandi occidentali, ma non trascurare i cugini centro-orientali. Nell’Ungheria, che va alle urne nel 2022, il match è tanto più difficile quanto meno centrale. Il dialogo coi polacchi non è impossibile, in particolare mentre la Russia cavalca aspirazione egemoniche.

La soluzione è una matrice di matematica geopolitica che prenda i due triangoli e li espanda sino a farli diventare un quadrato, per rendere l’anno che arriva quello della fiducia e dell’integrazione, in alternativa alla diffidenza e ai dissidi a oltranza. È un traguardo che impone un’ impresa, ovvio. Ma i padri dell’Europa, quelli dei 77 anni di pace continentale, hanno insegnato che le vite migliori si modellano con la pasta di cui sono fatti i sogni e le aspirazioni dorate.

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