In Veneto le case di riposo sono case di fatica, qui vivere è duro. Ecco il progetto per cambiare tutto
Analisi di Altavita-Ira sulle esigenze della popolazione anziana, per trasformare questi posti in luoghi di vita e di rinascita
PADOVA. Una diga contro l’iniziale esplosione del contagio, ma non basta: anche perché altre pandemie ci attendono dopo il Covid. Da qui l’esigenza di un drastico ripensamento delle Case di riposo per anziani, cogliendo la crisi aperta dal virus come l’occasione non per un restauro dell’esistente, ma per un nuovo inizio.
È forte lo stimolo che viene da una delle principali realtà venete del settore, la padovana Altavita-Ira, che proprio di questi tempi ricorda il duecentesimo anno di attività; e che lo fa non guardando al passato ma rivolgendosi al futuro. Con uno nutrito dossier curato dal segretario e direttore generale Sandra Nicoletto, col supporto di Valentino Pesci, stimolante fin dal titolo: “Rsa, dopo il Covid rinnovamento obbligato”.
La finalità viene indicata a chiare lettere da un autorevole esperto quale Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria: fare di queste strutture “luoghi di vita, dove c’è desiderio e impegno per rinascere; perché cura e vita sono la stessa parola”.
È un obiettivo destinato a passare attraverso una fase di transizione la cui durata viene indicata in cinque anni, nei quali mettere in atto una serie di interventi che vanno dal ripensamento delle strutture assistenziali sul territorio e delle stesse case di riposo, a una specifica formazione del personale.
Tasto dolente come pochi, quest’ultimo, a partire dall’aspetto quantitativo specie per gli infermieri: in Italia rispetto alla richiesta ne mancano oggi ben 65mila; il turn-over attuale è mediamente di 18mila unità all’anno, mentre le università ne mettono sul mercato appena 11mila.
Che di una svolta radicale ci sia assoluto bisogno, lo indicano del resto i numeri: gli ultraottantenni in Italia oggi sono oltre 4 milioni, un quarto dei quali non autosufficienti; ma anche tra quelli con età inferiori sono presenti diversi soggetti con pluripatologie, che rendono impossibile l’assistenza in casa.
Si va innalzando di continuo anche l’età media dell’ospite-tipo delle Rsa, attualmente sopra gli 86 anni; ma l’offerta è nettamente inferiore alla domanda, se si pensa che i posti-letto nelle strutture del nostro Paese sono appena il 19 per mille, contro i 47 della media Ocse.
Siamo carenti anche nell’assistenza domiciliare, di cui oggi usufruisce solamente il 6 per cento della popolazione anziana, ponendo l’Italia in coda alla classifica internazionale. Né ci sono prospettive di inversione di tendenza, se si tiene conto che il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) stanzia per questo settore 4 miliardi, ma riservandoli ai servizi delle Ulss e per periodi limitati, e ignorando invece quelli forniti dai Comuni (cura della persona, aiuto domestico, sostegno alla mobilità, pasti caldi). Ridicola poi, per non dire scandalosa, la misura per le Case di riposo, alle quali viene riservata l’elemosina di 300 milioni.
A fronte di un quadro così precario, il dossier Altavita sottolinea per contro l’esigenza di un ripensamento complessivo della politica per l’anziano a partire dalle Rsa (“non è più tempo del restauro, ma di nuovi progetti”), in un’ottica complessiva che punti sulla presa in carico della persona là dove si svolge la sua vita: obiettivo realizzabile attraverso l’attivazione di un sistema integrato di assistenza.
Ma resterà comunque una quota di individui, sempre più vecchi, sempre più malati, sempre più non autosufficienti, cui garantire strutture qualificate quali possono e devono diventare le Rsa rivisitate rispetto alla situazione odierna.
Sono obiettivi d’altra parte su cui esiste un’ampia convergenza di esperti internazionali, citati nel dossier, e per i quali si è autorevolmente pronunciata la stessa Accademia Pontificia per la Vita; accompagnandola con la forte denuncia del suo presidente monsignor Vincenzo Paglia, “oggi anziché di case di riposo si dovrebbe parlare di case di fatica, dove spesso vivere è duro e pesante”.