Arthuro Nathan, il contemplatore solitario che morì nel lager trascinato in un abisso
Al Mart di Rovereto fino al 1° maggio il tributo al pittore triestino, ideato da Vittorio Sgarbi in occasione della Giornata della Memoria
TRIESTE Nel primo pomeriggio di ieri negli spazi espositivi del Mart di Rovereto si è tenuta l’inaugurazione della mostra “Arturo Nathan. Il contemplatore solitario”. Inizialmente pensata per il giorno della memoria, è stata anticipata di qualche giorno per gli impegni politico-istituzionali del presidente del museo Vittorio Sgarbi, ideatore della mostra.
Curata da Alessandra Tiddia, realizzata in collaborazione con Alessandro Rosada e la Galleria Torbandena di Trieste, presenta un nucleo di una ventina di opere realizzate tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso a riassumere la breve ma significativa carriera artistica del pittore.
Vengono esposti “Solitudine. Paesaggio del veliero” del 1930, prestato dal Museo Revoltella, vari dipinti di collezioni private triestine e della stessa Galleria Torbandena, altri di provenienza milanese e “L’esiliato” del 1928, della Collezione Barilla di Parma, scelto a immagine dell’esposizione. Il medesimo dipinto, con la figura dell’uomo in primo piano seduta e avvolta in una tunica gialla, con lo sguardo rivolto verso il basso, dentro se stesso, sullo sfondo di un fantastico paesaggio marino, è stato scelto pure come immagine di copertina per il libro di Boris Pahor “Oscuramento”, per la prima volta tradotto in italiano e in uscita il 10 febbraio, per La nave di Teseo.
Della collezione della Fondazione VAF, in comodato al Mart, è invece il dipinto “Attendamento” del 1936, che, se non in mostra, si sarebbe potuto trovare appeso a una parete dell’ufficio della direzione del museo, per espresso desiderio del suo presidente.
Del resto l’amore di Sgarbi per il pittore triestino non è affatto nuovo: già nel 1992 aveva curato la mostra “Arturo Nathan. Illusione e destino” al Centro Saint-Benin di Aosta, mentre più di recente, in occasione dell’esposizione della collezione Cavallini Sgarbi al Salone degli Incanti di Trieste, a proposito delle sue “stanze triestine” ha raccontato: «Ho acquistato opere di artisti triestini con l’entusiasmo e la passione di un triestino. Ho amato sopra ogni altro Arturo Nathan. Di questo grande e tragico romantico ho reperito soltanto due disegni intensi e solitari, come era la sua natura».
Ora ritorna a scrivere su di lui nel testo pubblicato in catalogo, ricordando l’amicizia che legò l’artista a Leonor Fini, Italo Svevo, Gillo Dorfles ma anche il rapporto che ebbe con Giorgio de Chirico, osservando che “non esiste nella pittura del Novecento un artista più drammaticamente vero di Arturo Nathan”. Accosta quindi la sua pittura alla poesia di Carlo Michelstaedter, alla poesia che lo scrittore goriziano scrisse nel 1910 a Pirano, qualche mese prima di suicidarsi, dove si trovano i versi: “vana è la pena e vana la speranza, tutta è la vita arida e deserta”.
Alessandra Tiddia nel suo saggio indaga la fortuna critica di Nathan negli anni Trenta e i contatti con la cultura russa, a partire dalla mostra di Milano del ‘29, alla Galleria Milano, quando accanto alle opere dei colleghi Leonor Fini e Carlo Sbisà, Nathan espose ben 16 dipinti tra cui “Fiume tropicale”, pure presente a Rovereto.
Fu proprio quell’esposizione a portare la sua pittura all’attenzione nazionale e i primi a riferirne furono due pittori: Carlo Carrà che recensirà la mostra in un articolo su “L’Ambrosiano” e il russo Jakov Arkad'evic Žirmunskij, che nel ‘26 aveva ottenuto la cittadinanza italiana, mutando il suo nome in Giacomo Girmunschi, autore della prima monografia dedicata all’artista triestino pubblicata in francese nel 1935, per le edizioni parigine Arion.
Tiddia ricorda come dopo l’esposizione milanese il Museo Revoltella di Trieste acquisisca il dipinto “Statua naufragata”, esposto alla Quadriennale di Roma del 1931, donato dall’autore insieme a “Scoglio incantato” e come, sempre nel ‘31, il Comune di Milano acquisti “Spiaggia abbandonata” per la Galleria d’arte moderna. “L’incendiario”, esposto alla Biennale di Venezia del 1932, andrà invece ad arricchire le collezioni dell’Ermitage a San Pietroburgo, mentre ancora nel ‘32 si inaugurerà il museo di Tel Aviv con due sue opere: “Malinconia di un naufragio” e “Partenza del battello” lì giunte, probabilmente, anche grazie la mediazione dell’amico Girmunschi.
La vicenda artistica di Nathan si conclude in poco più di un decennio: l’ultima occasione in cui poté esporre i suoi dipinti fu nel 1937, alla “Mostra di pittori e scultori triestini” a Palazzo Lascaris a Torino, organizzata dal Sindacato Fascista di Belle Arti. La promulgazione delle leggi razziali nel 1938 gli impediranno di partecipare ad altri eventi pubblici. I suoi quadri al Museo Revoltella furono confinati in una stanza chiusa insieme a quelli degli altri pittori di origine ebraica come Vittorio Bolaffio, Isidoro Grünhut, Gino Parin, Arturo Rietti e Giorgio Settala.
Nathan continuò a dipingere fino a quando, allo scoppio della guerra, fu arrestato e confinato nelle Marche. “Come trascinato in un abisso”, scrive ancora Sgarbi, nel settembre del 1943 fu internato nel campo di prigionia di Carpi, quindi deportato in Germania, prima nel campo di concentramento di Bergen-Belsen poi in quello di Biberach an der Riß, dove morì il 25 novembre 1944, a 53 anni. La mostra allestita al Mart rimarrà aperta fino al 1° maggio.