La traduzione simultanea nacque in aula a Norimberga nel processo ai capi nazisti
La mostra organizzata dall’Università e curata dai docenti Riccardi e Pontrandolfo sul processo dove cento giovani garantirono scambi in quattro lingue
TRIESTE. Fu il primo confronto giudiziario su crimini contro l’umanità, un evento epocale che segnò l’impiego su larga scala dell’interpretazione simultanea. Il 20 novembre 1945, nel Palazzo di Giustizia di Norimberga, uno dei pochissimi edifici rimasti in piedi in una città rasa al suolo dai bombardamenti, prese avvio il processo contro i principali alti dirigenti del regime nazionalsocialista. Un processo fiume, la cui fase dibattimentale durò 218 giorni e furono ascoltate le deposizioni di ben 360 testimoni. Per la prima volta nella storia le udienze furono tradotte in simultanea in quattro lingue - inglese, francese, tedesco e russo - utilizzando una tecnica fino ad allora sconosciuta: l’interpretazione simultanea, che consentì la comunicazione istantanea tra giudici, procuratori, avvocati difensori, imputati e testimoni.
È dedicata agli uomini e alle donne che si fecero carico di questo compito gravoso e per molti versi doloroso la mostra “Un processo - Quattro lingue”, che sarà inaugurata mercoledì alle 16 alla Biblioteca Statale Stelio Crise. Organizzata dall’Università di Trieste e curata da Alessandra Riccardi e Gianluca Pontrandolfo, docenti del Dipartimento di Scienze giuridiche, del linguaggio, dell'interpretazione e della traduzione, l’esposizione ricorda il lavoro svolto da questi pionieri dell’interpretazione simultanea durante il processo contro Göring e altri 23 imputati. Sarà accompagnata da cinque conversazioni con il pubblico, pensate insieme alla mostra per riflettere sugli aspetti giuridici dei processi e sull’importanza che hanno avuto nello sviluppo del diritto internazionale, meditare sulle loro profonde implicazioni etiche e morali, scoprire le storie e le difficoltà degli uomini e delle donne che hanno prestato la loro voce a chi avrebbe potuto non essere mai ascoltato.
«Furono quasi un centinaio i giovani interpreti che si alternarono al processo, traducendo in simultanea per molte ore al giorno nel corso di 11 mesi. Operavano in équipe di tre per ciascuna lingua, in cabine improvvisate e con l’ausilio di una tecnologia ancora rudimentale messa a punto da Ibm. Le cabine utilizzate erano in vetro e aperte sopra, dotate di una specie di console e con le cuffie collegate con un intrico di cavi. Nell’aula processuale c’erano anche due lampadine per segnalare eventuali difficoltà: se si accendeva la luce gialla chi stava parlando era invitato a farlo più lentamente, se si accendeva la rossa significava che c’erano problemi tecnici ed era necessario interrompere i lavori», spiega la curatrice della mostra.
Il lavoro era molto impegnativo, richiedeva grande concentrazione e un addestramento particolare. Per questo motivo la selezione degli interpreti fu molto delicata. Il colonnello Léon Dostert, che era stato interprete di Eisenhower durante la guerra, fu incaricato da Truman del reclutamento di un manipolo di interpreti per Norimberga. Per non dilatare a dismisura i tempi processuali si decise di introdurre il metodo dell’interpretazione simultanea, che nonostante lo scetticismo di molti (reso bene anche nel film “Nuremberg”, che ripercorre la storia del processo, in cui uno dei protagonisti se ne esce con la frase «Questa piaga della traduzione simultanea è come aver affittato una stanza nella Torre di Babele»), si rivelò un sistema vincente e venne poi adottato anche dalle Nazioni Unite.
Tra i prescelti per l’arduo compito vi erano interpreti, traduttori, giornalisti, accademici. C’erano persone con esistenze complicate e drammatiche: alcuni erano di famiglia ebraica, fuggiti dalla Germania nazista verso l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Come l’austriaco ebreo Siegfried Ramler, che a quattordici anni, nel 1938, vide entrare a Vienna le truppe della Wehrmacht e il segno trionfale della svastica. La sua famiglia fuggì e lui andò a vivere a Londra con uno zio. Nel ’45 fu assunto dalla Us Air Force per lavorare come linguista in Germania, dove venne a conoscenza del processo contro i gerarchi nazisti: si presentò al Palazzo di Giustizia e pochi giorni dopo si ritrovò ad assistere all’interrogatorio di Hans Frank, il “macellaio di Varsavia”, l’avvocato di Hitler che fu infine condannato per aver ucciso tre milioni di ebrei e polacchi.
Si potrebbe pensare che queste persone fossero animate da spirito di vendetta, ma le testimonianze ci dicono il contrario: a prevalere fu l’etica professionale, l’imparzialità e la neutralità.
La mostra resterà aperta fino al 17 marzo, dal lunedì al giovedì dalle 15 alle 18. Sono previste visite guidate gratuite su prenotazione in italiano per tutti gli interessati e in francese, inglese, spagnolo e tedesco per le scuole, curate dagli studenti del I anno del corso di laurea magistrale in Interpretazione di conferenza. Cinque saranno gli incontri di approfondimento: “Norimberga e il diritto internazionale penale” (16 febbraio), “Echi e silenzi del processo di Norimberga” (23 febbraio), “L’interprete in aree di conflitto, tra etica e rischio professionale” e “L’interpretazione simultanea a Norimberga: un evento epocale” (25 febbraio), “Norimberga tra diritto e memoria (2 marzo), “Rievocare e tradurre il male. Norimberga tra colpa e giudizio morale” (9 marzo). Tutte le informazioni su www.units.it.