Veneziano e internazionale: ecco l’albergo che celebra l’arte
The Venice Venice Hotel a Ca’ da Mosto: venti camere, bar in fibra di carbonio e cucina a vista. Il portego a piano terra diventa spazio dedicato al life-style
VENEZIA. Così veneziano, così internazionale, con i mattoni a vista, le decorazioni marmoree, la polifora a loggiato del piano nobile, ma con piglio contemporaneo. L’ospitalità, la vocazione artistica, gli otto secoli di storia abitano in egual misura i quattro piani del Venice Venice Hotel, a Cannaregio, trentesimo albergo sul Canal Grande, fortissimamente voluto da Alessandro Gallo (fondatore del brand Golden Goose) che, insieme alla moglie Francesca, con un investimento di venti milioni di euro, ha rimesso in piedi il traballante Ca’ da Mosto riportandolo alle origini.
LA STORIA
Albergo già dal 1600 sotto l’insegna del Leon Bianco, celebre per i suoi ospiti e le sue feste, amato da John Ruskin, il più antico palazzo in pietra della città racconta un restauro radicale e delicato, durato due anni, durante il quale tutto quello che si poteva salvare è stato preservato.
Il terrazzo alla veneziana, i fregi e gli stemmi della facciata, le porte della camere e il portego di piano terra che era il sottoportico aperto alla città dove era in funzione il traghetto.
Il nuovo concept è stato quello di trasformare quello che era uno spazio pubblico in uno spazio privato, ma aperto a tutti, con una linea di life style (tappeti, abbigliamento, arredo casa, shopper, prossimamente anche fiori) sotto il marchio Venice M’Art creata da artisti artigiani quasi tutti locali.
La cucina è a vista, il ristorante e il bar sono aperti anche agli ospiti esterni: il caffè di Moka e le frittelle sono servite al carrello, seguiti dai cicheti, i “Goti de vin”, lo “sprizzetto”, i prodotti del panificio, i piatti “All-Day”, ciascuno con il proprio menu inserito sotto il vetro del tavolino.
Si prende la colazione, si pranza, si cena nel portego, o in riva al Canal Grande, a filo d’acqua, in faccia al mercato di Rialto. Al primo piano, il bar è quasi un’installazione artistica, in fibra di carbonio, al centro di un salone con il soffitto a cassettoni e le pareti rivestito da un arazzo terra-cielo.
Venti le camere, nessuna suite perché di fatto sono tutte tali, alle quali si aggiungeranno le altre 25 dell’attiguo Ca’ Dolfin, la cui fine dei lavori è prevista tra un anno. Letti a baldacchino stilizzato, boudoir al posto dell’armadio con piccola toilette, pantofoline sul ripiano, lampade dorate in vetro di Murano.
Dall’ultimo piano, salendo e salendo, si raggiunge l’altana. La terrazza del Fondaco dei Tedeschi è sulla punta delle dita, forse qualche metro più in alto.