«Il Carso rischia roghi fuori controllo: ecco il perché del taglio dei pini neri a Monfalcone»
L’esperto Quaglia spiega lo sfoltimento del pino. Legambiente chiede lo stop a tutela della riproduzione dello sciacallo
MONFALCONE Una «boscaglia fitta, impenetrabile, piena di biomasse ed estremamente pericolosa». Quanto si è visto in California, potrebbe avvenire in città, così si è detto. Chiome sul Carso che prendono fuoco come cerini e lambiscono l’abitato. È lo scenario descritto da Giancarlo Quaglia, progettista e direttore dei lavori di sfoltimento nel bosco di pino nero, specie alloctona trapiantata negli anni ’50, su input della legge Fanfani, per ripopolare di verde (con la creazione di humus su aride pietraie) le locali pendici, 600 ettari di suolo in capo all’ente: «Un incendio sarebbe incontrollabile, in poche ore Monfalcone si troverebbe in una situazione di vegetazione completamente azzerata». Un salto indietro di un secolo, con la «dorsale carsica brulla, dove neppure le capre trovavano di che sostentarsi», sempre il professionista.
Di qui la ratio dell’intervento: il “Progetto di miglioramento selvicolturale del comprensorio forestale del Parco comunale del Carso monfalconese”, che si sta protraendo da oltre due mesi sul versante nord e riguarda quasi 10 chilometri di sentieri, lungo i quali, per 25 metri su entrambi i lati, sono stati effettuati intensi diradamenti di pino nero, specie molto resinosa e dunque potenziale insidia nell’eventualità di un rogo, e due lotti dove l’abbattimento è in corso e dovrebbe terminare a metà febbraio.
Un progetto finanziato dal Piano di sviluppo rurale per 199.999,99 euro, stanziati dalla Regione attingendo a fondi comunitari, e teso a favorire la boscaglia carsica autoctona, oltre appunto alla messa in sicurezza a fini antincendio. L’aumento della temperatura e della siccità estiva per queste piante sono foriere di facili inneschi, in particolare a bordo strada, dove si sono concentrati gli abbattimenti degli esemplari in esubero, ammalorati o a fine ciclo vitale. Questo sia per la conformazione delle chiome intrecciate che per le sostanze resinose: le fiamme potrebbero diffondersi alla boscaglia carsica di latifoglie tipiche, causando devastazione.
I pini, esaurita la mission, sarebbero dovuti essere progressivamente eliminati per permettere la ricostituzione della tipica e resiliente boscaglia di roverelle, carpini neri, ornielli. Così non è avvenuto, fin qui. Davanti alla spiegazione in diretta social, la sindaca Anna Cisint ha bollato comunque come «insufficiente» l’operazione in corso: la manutenzione andrebbe estesa. E sollecitato le «scuse» di chi ha sollevato il polverone (il centrosinistra all’opposizione). «Si è fatto clamore su aspetti eminentemente tecnici», ha puntualizzato Quaglia.
Ma la vicenda è lungi dall’archiviazione: Legambiente «a seguito di numerose segnalazioni da parte di cittadini e soci, che passeggiando sul Carso hanno visto il panorama vegetale molto cambiato in poco tempo» con il circolo Zanutto ha voluto incontrare il 31 gennaio il Comune, dopo un sopralluogo sui sentieri assieme a NOplanetB ed esperti in materia forestale. Gli ambientalisti non hanno nulla da eccepire sulla questione della manutenzione, tuttavia pongono una riflessione in merito all’«impatto sul patrimonio faunistico», poiché il progetto ha considerato «solamente il periodo riproduttivo dell’avifauna». Mentre le associazioni hanno fatto presente che «nei due lotti Mucille e Castellieri sono stati avvistati sciacalli dorati e i rari gatti selvatici, il cui periodo riproduttivo, che inizia in questo lasso, potrebbe essere pesantemente disturbato dai macchinari». Per tale motivo Legambiente chiede «se non sia il caso di sospendere le operazioni nei due lotti dove non si è ancora effettuato il disboscamento, eventualmente posticipando i lavori in una fase meno critica». Si fa altresì notare che in questa vicenda, per Cisint puramente «tecnica» e affatto politica, non c’è stato «alcun coinvolgimento», nonostante i «numerosi incontri effettuati negli ultimi mesi». Ma l’assessore all’Urbanistica Antonio Garritani, stando agli ambientalisti, «ha assicurato che in futuro interventi di questo genere verranno comunicati tempestivamente».
Da ultimo è richiesta la sistemazione di cartelli informativi che permettano agli utenti di venir messi a conoscenza del progetto in esecuzione e che si preveda, oltre al monitoraggio, il controllo della crescita di rovi e scotano negli anni a venire. Queste essenze, infatti, possono veicolare gli incendi oltre strade ampie come quelle forestali.