Discoteche venete, venerdì si torna a ballare. Ma solo il 50 per cento è pronto a ricominciare
Gli imprenditori: «Dopo il Covid facciamo molta fatica a trovare il personale. È urgente una concreta detassazione»
PADOVA. Venerdì ritornano in pista le discoteche, ma solo il 50% è pronto a riaprire e, di questo, un altro 30% sta considerando di riaprire sabato. T
utti però sono alle prese con la faticosa ricerca di personale: molti baristi, uomini della sicurezza e musicisti, si sono dovuti reinventare, non potendo rimanere in eterno senza stipendio. In tutto il Veneto i locali al chiuso sono 154, mentre in Provincia, sulla carta, sono ancora una trentina, ma il 30% di queste si teme non riaprirà mai più le porte, dunque venerdì ripartiranno meno di 10 locali in tutto. Infine in città ci sono 7-8 codici Ateco che rispondono alla dicitura discoteche e di queste 2-3 apriranno venerdì, 4-5 probabilmente sabato.
Le regole della riapertura sono ferree: capienza al 50% per i locali al chiuso, verifica del Green pass rafforzato (con tampone), mascherina all’ingresso e tracciamento dei clienti.
«Già la scorsa settimana ho convocato i miei dipendenti: 15 per il Q e 25 per l’Extra Extra» riferisce Andrea Massaggia, patron del restaurant lounge-bar in piazza Insurrezione e della discoteca tradizionale in via Ciamician «ma se consideriamo anche gli indiretti – dai musicisti ai dj, dalla sicurezza alle pulizie – i numeri si raddoppiano». Altre 25 persone sono state richiamate da Andrea Cavinato, referente Silb (Sindacato italiano locali da ballo) e titolare del locale Paradiso Latino, a Campodarsego.
«La principale difficoltà è trovare personale – spiega Cavinato – e per questo chiediamo contratti di lavoro più flessibili. In particolare vorremmo fossero reintrodotti i voucher che ci permettevano di organizzare meglio il lavoro all’ultimo minuto. Il punto è che non sappiamo quante persone verranno venerdì e anche dopo perché non possiamo sapere se la clientela tornerà senza timori. Al momento né il Governo, né la Regione ci ha aiutati in qualche modo. Non chiediamo soldi, ma almeno la detassazione rispetto a servizi di cui non abbiamo beneficiato»
Le discoteche sono state chiuse causa Covid il 23 febbraio 2020, poi aperte di nuovo il 15 ottobre 2021 e chiuse ancora a dicembre. «Ogni locale ha perso mediamente 1 milione di euro all’anno» sottolinea Cavinato, «e solo a dicembre abbiamo perso da 80. 000 a 100.000 euro, ma come ristori abbiamo ricevuto 5.000-6.000 euro. «Non vediamo l’ora di ricominciare a lavorare, ma non siamo soddisfatti» aggiunge Massaggia «è un’apertura tardiva, che brucia quasi la stagione invernale e che per un buon 30% di locali da ballo arriva a chiusura definitiva. La verità è che ci sentiamo abbandonati e questo ci amareggia».
«Adesso l’importante è tornare a lavorare, fiduciosi che non ci siano altri colpi di scena come a Natale, quando ci hanno fatto chiudere alla vigilia» continua Massaggia «ma il passo successivo è verso le istituzioni, Governo e Regione in primis: alcune regioni, come l’Emilia Romagna, la Liguria e il vicino Friuli, hanno pensato ad interventi diretti per la categoria, non ristori, ma detassazioni che hanno comunque un’importante risvolto economico: quello che abbiamo perso, ormai non tornerà, ma gli sgravi fiscali sono importanti perché noi in questi ultimi due anni non abbiamo prodotto spazzatura e dunque non comprendiamo perché dobbiamo pagare la Tasi; non abbiamo usufruito dei nostri locali, e dunque non condividiamo di dover pagare l’Imu e non abbiamo potuto fare pubblicità perché lo Stato ci ha chiusi per legge, dunque di scuro è follia farci pagare la tassa sulla pubblicità. Da parte nostra siamo prontissimi a rimboccarci le maniche, ma resta che abbiamo davanti a noi un paio di mesi di lavoro, poi inizierà la stagione estiva e i locali al chiuso torneranno – fisiologicamente – a chiudere. Resta una profonda amarezza perché siamo stati abbandonati». «Adesso ci sono dei locali in stand by un po’ in tutta la provincia – aggiunge Cavinato – che stanno aspettando per decidere cosa fare. Viviamo praticamente di speranza, ma la realtà è che la nostra clientela non è stata a casa in tutto questo periodo: si è spostata in disco-bar e bar che hanno fatto il nostro lavoro senza poterlo fare». —