Putin e la “russificazione” grazie al Tè Ivan: lo studio della professoressa di Ca’ Foscari
Venezia, Renata Soukand insegna Botanica al dipartimento di Scienze ambientali: «La nostra terra non è Russia. Molti gruppi etnici raccontano di essere ancora traumatizzati dal tentativo di russificazione»
VENEZIA. Quando Renata Soukand, metà ucraina e metà estone, diceva all’amico Andrea Pieroni che non voleva tornare in Ucraina per paura che di un’invasione della Russia, lui la prendeva in giro.
«Esagerata!» diceva l’ex rettore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche alla professoressa associata di Botanica del dipartimento di Scienze ambientali di Ca’ Foscari, arrivata a Venezia quattro anni fa grazie a un finanziamento Horizon 2020 ERC da 1,5 milioni di euro.
In questi giorni si è dovuto ricredere e ha iniziato a vedere sotto un’altra luce la ricerca che Soukand sta svolgendo sull’impatto della Russia sui Paesi confinanti e su come la cosiddetta russificazione abbia spazzato via le diversità locali.
«Le pratiche dell’uso della medicina tradizionale e delle diversità dei tanti piccoli gruppi etnici che abitano i confini, sono state cancellate volontariamente dalla Russia» spiega la professoressa residente a Venezia. «Il processo di russificazione è stato avviato prima con il comunismo e poi negli ultimi anni, soprattutto dopo il 2014, quando la Russia tratta i Paesi non riconoscendone peculiarità e differenze».
Soukand adesso è a Venezia e segue quanto sta accadendo dai social, ascoltando i giornali, leggendo i quotidiani e sentendo chi è rimasto là, per poter essere informata da chi l’invasione russa rischia di viverla sulla propria pelle.
Per questo la prof Soukand cerca di spiegare ai suoi interlocutori che ai confini ci sono tantissime etnie, come gli huzuli, pastori che parlano una lingua simile all’ucraino, ubicati vicino alla Romania; i seto che stanno tra l’Estonia e la Russia; i careli al confine tra finlandia e Russia e i dainavi che si trovano tra Lituania Bielorussia e Polonia. «Questi gruppi etnici per esempio raccontano di essere ancora traumatizzati dal tentativo di russificazione che si manifestava per esempio insegnando soltanto il russo a scuola nel tentativo di cancellarne l’identità».
Oltre al fattore linguistico la ricerca mostra com’è cambiata la cultura collegata alle piante. Un esempio tra tanti, il Tè Ivan che la Russia ha iniziato a diffondere in Ucraina e nei territori limitrofi per convincere che ci fosse una tradizione comune e storica di lunga data, quando in realtà non è così. «Il Tè Ivan è stato inventato dai russi in chiave anti occidentale per una costruire anche attraverso internet una tradizione che in realtà è recente» spiega la ricercatrice.
«Chiunque viene dalla Russia compra questo Tè Ivan dicendo che è da secoli presente nel territorio, ma non è vero ed è parte di quella narrativa anti occidentale che viene utilizzata ancora adesso anche da Putin». Insomma, un colonialismo culturale che chi abita in quei territori racconta attualmente presente. «Nella ricerca ho incontrato delle persone che ancora oggi raccontano di aver paura del bosco perché rievoca in loro il ricordo dell’invasione russa, che oggi è presente più mai».