Donne a capo di un’impresa, a Trieste accade una volta su quattro
Il “tasso di femminilizzazione” delle aziende è poco oltre il 22%: 10 anni fa era sensibilmente più alto. Il Covid ha inciso nei settori tradizionalmente più “rosa”
TRIESTE. A Trieste è “rosa” solo un incarico di comando ogni quattro- cinque imprese. Le aziende guidate da donne nella nostra provincia sono infatti 3.547, il 22,43% del totale. Il dato, che emerge da un apposito report di Unioncamere, evidenzia una lieve riduzione di questa percentuale rispetto a 10 anni fa. Nel 2011 le imprese femminili erano 4.331, il 23,9%, mentre la pandemia non risulta aver inciso sul trend, almeno in linea generale, come vedremo più avanti: a fine 2018 si viaggiava a quota 3.606, per un cosiddetto “tasso di femminilizzazione” delle aziende corrispondente al 22,33%. Ma di quali realtà stiamo parlando? La natura giuridica prevalente è quella di “impresa individuale”, anche se progressivamente si registra un aumento significativo della presenza di donne nelle società più strutturate, con ruoli di amministratore piuttosto che di socio.
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Il “tasso di femminilizzazione” a Trieste è comunque in linea con quello nazionale (22,13%) e con quello regionale (22,43%). I settori che raccolgono un numero più importante di aziende “rosa” sono il commercio al dettaglio e i servizi alla persona (parrucchiere, estetiste), la ristorazione, il comparto alberghiero, l’assistenza sanitaria, le pulizie, le agenzie di viaggio, l’istruzione e il piccolo artigianato. Scarsa invece risulta la presenza di donne ai vertici di imprese di costruzioni, di trasporto e di fornitura di gas ed energia.
Dal 2018 ad oggi, sempre per quanto riguarda Trieste, la pandemia non è passata comunque “inosservata” in chiave femminile, poiché ha colpito proprio alcuni di questi settori, dove le donne trovano appunto, imprenditorialmente, maggiore spazio e realizzazione. «Fare l’imprenditore oggi non è semplice per nessuno – premette Elena Pellaschiar, alla guida di due negozi di ottica e presidente del Gruppo Commercio di Confcommercio – e per le donne che hanno figli conciliare lavoro e famiglia può essere certamente impegnativo ma, con determinazione, professionalità, formazione e il valido supporto che può arrivare della associazioni di categoria, si possono superare eventuali ostacoli e trarre soddisfazioni». Elisa Rauber, ad esempio, ha aperto il suo studio di trucco permanente nel 2012 e concilia il suo ruolo di imprenditrice con quello di mamma.
«Quando ho inaugurato l’attività avevo già una bambina di due anni e l’anno dopo l’apertura è arrivata la seconda figlia. Quindi tutto si può fare, certo, magari però, come nel mio caso, con il prezioso aiuto dei nonni. Gli strumenti a supporto ci sono, serve solo una buona organizzazione familiare». E aggiunge: «Questo non è un periodo facile per aprire un’impresa, rappresenta comunque un rischio, indipendentemente dal fatto che chi ci prova sia uomo o donna, ma con la determinazione si può raggiungere l’obbiettivo».
Anche Giara Amato è madre di due figli e, oltre a fare la mamma e l’imprenditrice, è anche alla guida del Gruppo dei Giovani imprenditori di Confcommercio. «La pandemia ha certamente congelato la volontà di molte donne di entrare nel mondo dell’imprenditoria – valuta – ma mi auguro riscoprano la voglia di fare impresa o comunque di aprire una partiva Iva, puntando anche a un percorso di realizzazione personale».
Eppoi ci sono pure quelle donne che, portando avanti l’azienda di famiglia, si ritrovano a guidare imprese dove gli uomini, tradizionalmente, la fanno da padroni. Come Micol Suppancig, titolare della macelleria di piazza San Giovanni. «Chi cresce dentro un’impresa di famiglia è spesso avvantaggiato – constata – però poi servono innovazione e ricerca, in ogni campo, per dare nuovo impulso all’impresa, portandola al passo con i tempi».