Sei anni fa la morte di Elisa Valent in Spagna, la mamma: “Aspettiamo giustizia dal 2016, il processo è vicino”
La data dell’inizio del processo sarà resa nota nei prossimi giorni. È Anna Bidin, la mamma di Elisa, a comunicarlo, nel giorno del sesto anniversario dalla morte della figlia
VENZONE. Sei lunghi anni e tre richieste di archiviazione. Dolore, rabbia e tanta forza. Poi la speranza che si riaccende. La famiglia Valent attende giustizia da quel 20 marzo 2016, quando Elisa Valent, che allora aveva 25 anni, morì, assieme ad altre tredici studentesse del programma Erasmus – di cui sette italiane – in un incidente accaduto su un’autostrada della Catalogna. Il pullman, che stava riportando la venticinquenne friulana e gli altri studenti da Valencia a Barcellona, sbandò schiantandosi vicino a Tarragona.
I genitori di Elisa Valent aspettavano da tempo quella mail, arrivata nella mattinata dello scorso 9 febbraio. La data dell’inizio del processo sarà resa nota nei prossimi giorni. È Anna Bidin, la mamma di Elisa, a comunicarlo, nel giorno del sesto anniversario dalla morte della figlia.
«Lo scorso 9 febbraio è arrivata una mail dai nostri avvocati spagnoli – conferma Anna Bidin, che assieme al marito Eligio Valent e alla figlia Sara, continua a chiedere giustizia –. Finalmente i legali hanno provveduto a inviare al Tribunale di Tortosa il fascicolo e nei prossimi giorni ci comunicheranno la data di inizio del processo. Non sarà facile, ne sono consapevole, ma voglio essere presente in aula e guardare in faccia l’autista del pullman. Se la causa fosse stata un infarto o qualcosa di imprevedibile, ce ne saremmo fatti una ragione.
Ma qui è diverso: l’autista avrebbe potuto fermarsi e non l’ha fatto. Ormai dovremmo essere vicini. Non mi sembra neanche vero, dopo tanto tempo. Fino a oggi il diritto alla vita delle nostre figlie ci è stato negato. È corretto che sia individuato un responsabile. Solo allora mia figlia potrà riposare in pace. Il dolore resterà, sempre, ma il cerchio va chiuso. Sei anni sono davvero troppi per avere giustizia. È vergognoso».
Quella di ieri, per la famiglia Valent, costretta a convivere con un dolore che toglie il fiato, è stata una giornata di silenzi, di lunghi abbracci, ma anche di speranza. «Nessuno ci restituirà mai la nostra Elisa – Anna Bidin ha la voce rotta dall’emozione – ma è giusto che venga fatta giustizia. Non stiamo lottando solo per mia figlia ma anche perché non succedano più queste cose. È giusto che i ragazzi vadano all’estero, ma in sicurezza. Non mi sono pentita per aver mandato Elisa in Spagna ma se non cambierà qualcosa queste morti non saranno servite a nulla. La nostra speranza è che si faccia un passo avanti. Non vogliamo soldi, non vogliamo nulla. È una questione di principio. Con tre archiviazioni, se non fosse stato per noi e per tutta la forza d’animo che ci abbiamo messo, sarebbe finito tutto nel dimenticatoio. No. Non deve andare così. Sono stati anni terribili. Elisa è con noi ogni giorno. Nei nostri pensieri e nei nostri cuori. È per lei che andiamo avanti».
L’avvocato Cesare Perosa, che segue la famiglia Valent, è in attesa della comunicazione. «Stiamo aspettando la data del rinvio a giudizio e di inizio del dibattimento – le sue parole –. La Corte di Appello di Tarragona, che ha deciso di riaprire il fascicolo dopo le tre richieste di archiviazione impugnate dalle famiglie, ha obbligato il giudice istruttore, che ha eseguito le indagini preliminari, a rinviare a giudizio l’autista del bus, sussistendo a carico di quest’ultimo tutti i presupposti di legge per la configurazione del reato di omicidio stradale colposo. Ora stiamo aspettando la data dell’udienza dibattimentale.
Ci sono stati ritardi nella comunicazione per vizi delle notifiche alle numerose vittime (tredici deceduti e numerosi feriti) in tutto il mondo. Poi c’è stata una fase di stallo. Gli avvocati hanno sollecitato più volte. Dopo l’ultima istanza, circa un mese fa, si confida che a breve sia comunicata questa data. Certo è che per i genitori significa prolungare una sofferenza e poi c’è una sensazione di impotenza che aggrava la situazione. Ci sono altre sei famiglie, in Italia, oltre a quella di Elisa, con le quali siamo costantemente in contatto. Anche loro sono in attesa di giustizia da troppo tempo»