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I figli di Bio. Le tribù degli amanti del naturale



I più devoti abbracciano gli alberi, sognano di vivere nei boschi e si nutrono di acqua e respiri. Ma ci sono anche coloro che mangiano soltanto frutta caduta naturalmente dagli alberi e altri che puntano tutto sulle verdure crude. Viaggio, semiserio, tra le molteplici declinazioni di chi ha deciso di vivere, per dirla con gli americani, «organic».

Sta guadagnando adepti una nuova religione dei consumi: è quella dei «figli di bio». Sembra, infatti, che ora piaccia tutto esclusivamente biologico, o se preferite «organic» come s’usa negli Usa dove la «high class» compra solo a impronta carbonica zero. L’Italia è il Paese (in percentuale) con la maggiore superficie a coltivazione biologica in Europa. Fino a prima della crisi energetica e della guerra in Ucraina, i supermercati facevano a gara per vendere i prodotti come natura comanda. Negli ultimi due anni la domanda si è incrementata del sette per cento, il mercato bio alimentare vale 4,5 miliardi (con ottima quota all’export: 2,4 miliardi) e la grande distribuzione ormai occupa circa il 47 per cento del mercato.

Tutto bene? Forse no. La prima botta le vestali del bio l’hanno presa con l’approvazione della legge sul biologico che cancella il biodinamico contro cui si è schierata la scienza definendo la coltivazione secondo i dettami di Rudolf Steiner una sorta di «stregoneria applicata». Ulteriore batosta l’hanno ricevuta scoprendo che il «greenwashing» (ovvero spacciare per naturale ciò che naturale non è) vale circa 7 miliardi di marketing tarocco, ormai ribattezzato il «sosteniblablà». E il colpo definitivo in Europa è venuto con la crisi di questi giorni: manca il grano, tutto costa di più perché l’Europa con i programmi Farm to fork e Green deal ha ridotto del 30 per cento la produzione agricola e aumentato a dismisura i costi energetici. Nonostante tutto, il bio resiste. Le tribù degli appassionati al settore sono diverse e a volte in contraddizione tra loro. Così abbiamo cercato di tracciare l’identikit di questi consumatori. Voi in quale vi riconoscete?

I bio-integralisti. Sono quelli che non comprano nulla che non sia tale. Sono disposti a spendere il 60 per cento in più di chi consuma «normale» e dallo shampoo alla verdura esigono il bollino verde. Sono anche i più sottoposti alle lusinghe del greenwashing. Si stima che in Italia siano circa 600 mila. Comprano solo nelle boutique del biologico.

I bio-logici. Sono circa 2 milioni e si alimentano di preferenza con prodotti bio. Comprano soprattutto nei supermercati. In questa categoria rientrano anche i Gas (gruppi di acquisto solidale), circa 800 in Italia, almeno quelli aderenti alla rete nazionale che si riconosce in www.economia-solidale.net. Comprano direttamente dai contadini e sono concentrati soprattutto nelle grandi città. Più o meno è lo stesso profilo di chi fa la spesa nei mercati contadini che ormai amano raccontarsi «come biologici a chilometro zero» e hanno un giro d’affari stimato sugli 8 miliardi. In questa categoria rientrano anche i localisti (comprano solo prodotti di prossimità per evitare l’inquinamento) e gli stagionali: solo prodotti di stagione per evitare la conservazione.

I bio-etici. Sostanzialmente i seguaci più ortodossi di Greta Thunberg. In Italia stanno facendo il tentativo di rifondare un partito. Si chiama Europa Verde, lo guidano Eleonora Evi e Angelo Bonelli. I sondaggi dicono che difficilmente raccoglieranno più del 2 per cento. La base bio-etica riguarda piuttosto le associazioni ambientaliste: un universo che conta meno di 300 mila iscritti tra Legambiente, Lipu e Wwf.

I bio-dinamici. Attratti in maniera del tutto acritica dalle filosofie staineriane. Il loro universo di riferimento è quello dei vignaioli che praticano questa agricoltura «esoterica». Il mercato ha un potenziale di 45 milioni di fatturato, i consumatori sarebbero circa il 10 per cento della platea.

I vegetariani. Non consumano carne animale. Ci sono diversi gradi di adesione. C’è chi mangia pesce saltuariamente (i pescitariani) chi ammette le uova, chi il formaggio. Adoratori delle spezie, per un pinzimonio farebbero follie. Ma sono anche i più esposti al greenwashing alimentare. Per esempio, amano gli hamburger vegetariani. Pagano per una polpetta vegetale - costa circa il doppio di quella di carne - che ha una trentina d’ingredienti. Se siano tutti biologici non si sa. Una cosa è certa: sono in potenziale crescita visto che persino McDonald’s li ha messi nel menù. Non rappresentano, per ora, più del 6 per cento degli italiani.

I vegani. Non mangiano nessun alimento animale. Non sono più dello 0,8 per cento della popolazione italiana e i loro prodotti simbolo sono i beveroni vegetali, gli anacardi, il tofu, l’avocado. Un tetrapack di spremuta di soia biologica costa più del doppio di un litro di latte (3,50 euro contro 1,45). Gli anacardi arrivano dal Vietnam: li coltivano i condannati ai lavori forzati e se siano bio non si può appurare. E, infine, c’è la contraddizione dell’avocado: per produrne mezzo chilo si utilizzano 300 litri d’acqua.

I fruttariani. Mangiano esclusivamente frutta. Gli integralisti si nutrono solo di quella caduta dagli alberi con aggiunta di quella a guscio (noci). Altri si concedono quella cotta integrata con olio d’oliva. Quasi nessuno consuma cereali. Sono un’esigua minoranza ma hanno un loro sito di riferimento: www.fruttariani.it

I crudisti. Non cuociono i cibi. Al massimo li manipolano (spezzano, frullano, abbattono di temperatura) e un eventuale trattamento termico non può superare i 45 gradi.

I respiriani. Sono l’ultimo stadio. Non mangiano nulla di solido, sostanzialmente si nutrono solo di acqua e di spremute. La massima ascesi bio prevede di abitare i boschi, l’assunzione di cibo liquido solo una volta alla settimana e un quotidiano consumo di acqua. Pare che in Italia siano un migliaio. Date le premesse, un numero quantomai precario.

A tutto questo si aggiunge la deriva politica. Il culto del bio sta diventando una sorta d’incontro tra le mobilitazioni Friday for future e il politically correct, con una punta di progressismo. La Fondazione Heinrich Böll legata ai Verdi tedeschi ha però scoperto che fu l’estrema destra la prima a parlare di bio e oggi tende al veganesimo... Un cortocircuito ideologico che non aiuta, ma che nel grande flusso dell’informazione dove tutto finisce per assomigliarsi, sarà prontamente riassorbito.

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