Vannino Chiti: «La disfatta della sinistra si è materializzata alle elezioni di Pistoia. Ormai esistono solo le correnti»
«Questa, insieme a quella di Genova, è la sconfitta più dura che ha avuto il Pd in Italia»
PISTOIA. «Il risultato di queste elezioni è la disfatta più grande che la sinistra ha avuto a Pistoia. Non c’è un precedente. Se non si fa una riflessione seria, un dibattito approfondito e se invece si va avanti a colpi di anatemi reciproci e di accuse, allora si mette la polvere sotto il tappeto, ancora, ma ci si prepara a disastri futuri, ad essere irrilevanti».
Ex sindaco, presidente della Regione, parlamentare e ministro con Prodi: Vannino Chiti è senza dubbio la figura politica più significativa di Pistoia. È rimasto nel Pd ma non si perita a dire la sua, quando sente che ce n’è bisogno. E ai primi di maggio 2022 se l’era presa con la mancanza di confronto all’interno del partito a Pistoia. Naturale, oggi, dopo la debacle del centrosinistra, sconfitto al primo turno dal sindaco uscente di centrodestra, Alessandro Tomasi, ripensare alle sue parole.
«Ho detto la sconfitta più grande – continua – perché stavolta tutto il fronte del centrosinistra (diviso tra due candidati sindaci: Fratoni e Francesco Branchetti, che guidava una alleanza progressista-ambientalista, ndr) supera appena il 40%, per cui è inutile dare la colpa agli altri. Poi perché se non ci fossero state la lista alternativa, frutto certo di divisioni non positive, e quella di Vespignani (di Azione, ndr) che ha avuto il 2,5%, con il crollo dei votanti che c’è stato, Tomasi avrebbe vinto col 60%».
Le prime dichiarazioni a caldo di Fratoni e degli altri dirigenti dimostrano la necessaria consapevolezza?
«La metto in positivo. Io penso che se si continua sulla strada del passato, non c’è futuro. Questa, insieme a quella di Genova, è la sconfitta più dura che ha avuto il Pd in Italia. E a Pistoia veniamo da sconfitte dietro sconfitte».
Quali sarebbero state le scelte da compiere?
«Tomasi si presentava come un candidato civico, aveva un rapporto positivo con la città. Però i pistoiesi danno anche un giudizio non di soddisfazione sull’amministrazione. Questo era il punto di contraddizione su cui si doveva intervenire. Io avevo proposto che ci fosse un candidato civico, progressista, non di partito, perché poteva unire la coalizione e superare anche, nel modo di presentarsi alla città, il sindaco Tomasi».
Invece alla fine le scelte sono state altre. Ma qual è la malattia del Pd pistoiese?
«Vale in generale, ma ancor più a Pistoia: se il Pd è una confederazione di correnti, che non danno neanche un proprio contributo culturale ma sono tenute insieme solo dagli equilibri interni e dalla suddivisione di posti, non c’è futuro positivo, perché la gente si sente lontana. E quando i giovani, la gente che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, i pensionati al minimo, si sentono lontani, o stanno a casa, e i loro voti mancano al Pd, o votano in altro modo».
Insomma, alla radice c’è un problema di sensibilità politica nel partito...
«Quando, discutendo con il segretario comunale Walter Tripi, un mese fa, dicevo che c’era un’assenza di proposte del Pd nei confronti delle giovani generazioni, la sua risposta fu che la candidata sindaca era nata quando io ero presidente della Regione. Il che è vero, ma non basta. Perché la lotta politica a base di certificati di nascita è quello che ha inculcato Renzi nella lotta politica del Pd».
Sostenere i giovani non è importante?
«Essere giovani conta, io ho cercato di aiutare dei candidati giovani espressione del circolo Centro, dove sono iscritto. Ma quello che conta è se c’è una politica dei giovani, altrimenti il certificato di nascita non serve a niente. Il Pd si deve liberare di un metodo. Si dà sempre la responsabilità a Renzi, anche se nel partito non c’è più da anni, ma è rimasto il suo metodo, il metodo di far politica che lui ha portato».
I risultati si vedono: a Pistoia i voti raccolti dai tre principali candidati sindaci sono pari alle persone che non sono andate a votare.
«È vero. E se nella vita di un paese al primo turno delle elezioni comunali non partecipa neanche il 55 per cento dei cittadini, è un segnale forte. Conta come si discute, quale rapporto si ha con la società, come si chiamano i circoli a discutere, come si costruiscono i progetti in coerenza con i valori che si annunciano. Se parlo di ecologia e poi propongo di sviluppare l’aeroporto di Peretola al livello di quello di Pisa, se dico che sanità e scuola sono centrali e poi i soldi li trovo per gli armamenti e non li trovo per questi obiettivi, allora le persone non si riconoscono nella politica che dovrebbe essere progressista».
È un tema assai più ampio dei confini pistoiesi.
«Questi aspetti sono generali, ma a Pistoia sono stati vissuti in maniera enorme. L’altro errore a Pistoia è stato pensare che “di là c’è la destra, quindi la gente voterà noi”. Ma dopo il governo Draghi, che ci vede governare tutti insieme, la sfida alla destra non si può più fare come prima, non funziona più così. Noi abbiamo bisogno di dire come si attuano oggi i nostri valori, come i grandi temi, dal lavoro, alla partecipazione, all’ambiente, si traducono nella vita della città. Se si pensa di chiedere un voto solo perché di là c’è la destra, non si è capito niente».
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