Il piano dell’Italia per l’emergenza energetica
foto da Quotidiani locali
Sul tavolo del governo il protocollo in caso di crisi: tra le soluzioni aria condizionata limitata in abitazioni e uffici, grandi aziende costrette a ridurre la produzione. Ecco le diverse misure:
I CONSUMI – Tagli ai settori energivori e case più calde
Se la Russia nei prossimi giorni confermerà i tagli ai flussi del gas, il ministero della Transizione ecologica potrebbe decidere di alzare il livello di crisi da “preallarme” ad allarme. In questo caso, le imprese che sfruttano più energia sarebbero costrette a ridurre i consumi. Se guardiamo alle forniture di energia elettrica, che per il 50-60% dipendono dalle centrali alimentate a gas, ci sono 46 soggetti tra gruppi industriali e grandi consorzi di imprese classificati come «interrompibili» da Terna, e valgono circa l’1% dei consumi elettrici. Nella lista troviamo le grandi acciaierie (ex Ilva), le cartiere, i cementifici (Italcementi, Buzzi Unicem), le aziende tessili (Olcese) e chimiche (Solvay). Se la situazione dovesse precipitare, il Mite potrebbe applicare lo stato di emergenza previsto dal piano sul gas e intervenire sull’uso dei condizionatori nelle case, limitandone la temperatura e le ore di utilizzo. Negli uffici pubblici, peraltro, già dal mese scorso è in vigore il divieto di andare sotto i 25 gradi (e sopra i 21 d’inverno con il riscaldamento acceso). Nelle città anche i comuni hanno iniziato a ridurre l’illuminazione notturna.
I FORNITORI ALTERNATIVI – Acquisti in Africa e Asia, sponda Usa
Per sganciarsi da Mosca, vanno trovate nuove fonti di approvvigionamento energetico. L’aumento delle importazioni è fondamentale nel piano del governo, infatti dall’Africa e dal Medio Oriente arriverà sempre più gas. Già ora i livelli di metano dall’Algeria sono superiori a quelli della Russia, e pure l’Azerbaijan garantisce flussi concorrenziali rispetto agli ingressi dal Tarvisio. In più, cresceranno le forniture da Congo, Angola, Mozambico e Nigeria. Gli Stati Uniti si sono impegnati a vendere una quota importante di gas liquefatto da lavorare nei rigassificatori. In Italia ce ne sono tre: a Livorno, La Spezia e Rovigo. Snam ha appena acquistato la prima delle due navi rigassificatrici che il governo vuole installare lungo le coste. La Golar, l’imbarcazione comprata, è costata 330 milioni di euro e può stoccare 170 mila metri cubi di Gnl, con capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi l’anno. L’idea dell’esecutivo è collocare la Golar a Piombino e l’altra nave al largo di Ravenna.
IL CARBONE – Le fonti fossili rifugio obbligato
Le sette centrali a carbone ancora presenti in Italia (che vanno dismesse entro il 2025) sono pronte a tornare a pieno regime in caso di emergenza. Ce ne sono due in Sardegna e una in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Puglia. Cinque di queste sono gestite da Enel. Certo, non è un bel segnale per gli impegni di riduzione delle emissioni presi dall’Italia, ma in questa fase di emergenza il ritorno al carbone non è più un tabù. È emblematico il caso della “Federico II” di Cerano in provincia di Brindisi, la centrale termoelettrica alimentata a carbone più grande in Italia. A gennaio, prima della guerra, aveva cominciato a incrementare la produzione per rispondere alla grande domanda post-pandemia. Sebbene le linee produttive (e le emissioni) si intensificheranno nei prossimi mesi, Cerano può rappresentare una svolta nella fase di transizione ecologica. Proprio in Puglia, dopo il 2025, dovrebbe sorgere un polo destinato agli impianti fotovoltaici e di accumulo con enormi batterie.
LE ESTRAZIONI – Serve metano a km zero. Riecco le trivelle
Le ritorsioni di Putin non avranno un grosso effetto sull’inverno a patto che il riempimento degli stoccaggi prosegua a pieno regime per centrare l’obiettivo dell’80-90%, rispetto al 55% attuale. La riduzione del gas russo e l’incremento dei prezzi non rendono le cose facili, ma l’Italia può spingere sulla produzione nazionale, poco sfruttata negli ultimi anni. Questo significa estrarre più metano dai giacimenti esistenti e attivare le trivelle per nuove estrazioni. Il ministro Roberto Cingolani, titolare della Transizione ecologica, ha detto chiaramente che è giunto il momento di rivedere il “Pitesai”, ovvero la mappa delle zone idonee all’estrazione di idrocarburi, proprio per «usare sempre più gas dai giacimenti nazionali». Per incrementare la produzione italiana, però, oltre a investimenti per adeguare macchinari e pozzi, serve un pacchetto di semplificazioni e la collaborazione degli enti locali. Le trivelle restano un tema delicato politicamente, vista la totale contrarietà dei 5 Stelle. Eppure, secondo alcuni studi, nell’alto Adriatico si potrebbero sfruttare i ricchi giacimenti dell’area.