“Dieci ore di lavoro al giorno per 280 euro al mese: al mio posto accetteresti il lavoro?”
Francesca, 22 anni, si candida per un posto da commessa nel Napoletano. Saputo lo stipendio, rifiuta. Dopo le accuse di non voler lavorare, denuncia tutto su TikTok: «Voi cosa avreste fatto?»
NAPOLI. Storia vecchia, ferite nuove. Ha scatenato un’ondata di indignazione la denuncia fatta da una ragazza napoletana in cerca di impiego. Francesca, 22 anni, ha realizzato un video su TikTok nel quale ha descritto efficacemente la sua disavventura mostrando la conversazione avuta con la titolare di un negozio, una lettura accompagnata da un’amara quanto puntuta ironia. Voleva essere una risposta a chi l’aveva offesa – un’anonima negoziante in cerca di una commessa – ma è diventato molto di più. Le parole di una piccola-grande donna dallo sguardo severo e il volto pulito sono diventate una lezione di civiltà per la spiacevole signora e una lancinante denuncia gridata al mondo.
Francesca legge gli screenshot dei messaggi che si è scambiata con la titolare dell’esercizio commerciale, una sintetica alternanza di frasi piuttosto normali (in pratica un colloquio di lavoro social) finché l’argomento diventa il compenso e gli orari, a quel punto, senza nessun segnale premonitore, si apre un baratro che riporta indietro le lancette del tempo, quello dei diritti umani. I termini dell’accordo sono: 10 ore al giorno dal lunedì al sabato in cambio di 280 euro al mese. E lì si torna indietro a rileggere pensando di aver visto male. Ma Francesca legge anche lei e il dubbio sfuma insieme alla speranza. Lo scambio di messaggi si ferma lì, la ragazza, che è di Secondigliano ma mostra un autocontrollo british, si limita a scrivere che la cosa non le interessa, ringrazia e saluta. Stop. A quel punto però accade l’imprevedibile: la commerciante, presumibilmente stizzita dal rifiuto della lauta offerta, le scrive: «Voi giovani d’oggi non avete voglia di lavorare».
Francesca avvicina il volto all’obiettivo del telefono e tenendo bene a freno l’indignazione spiega: «Io sono stata gentile, ma se dici questa cosa mi costringi a rispondere diversamente. Ma secondo te è normale pagare 280 euro al mese per 10 ore al giorno? Se fossi al mio posto accetteresti? Manderesti tua figlia a lavorare per questa cifra? Non è vero che i giovani non hanno voglia di lavorare, siete voi che non ci fate lavorare». E poi incalza: «Se abitassi più lontano non mi consentirebbe nemmeno di coprire le spese necessarie per andare a lavoro, o quelle per mangiare, per bere, per concedermi un’uscita il sabato sera, perché come esci tu usciamo anche noi, un pacchetto di sigarette... Penso di essere anch’io una persona, ma magari farò delle visite per controllare questa cosa...».
Il video diventa subito virale e monta la polemica dentro e fuori la Rete. Anche perché è proprio di queste settimane la querelle sulla presunta scarsa propensione per il lavoro (e il sacrificio) da parte delle nuove generazioni. Anche se a ben guardare, nei negozi di Napoli il quadro appare ribaltato. «È storia vecchia, il padrone fissa il prezzo, e se hai bisogno di lavorare alla fine accetti le paghe da miseria, e chi viene dopo di te non ha scelta», spiega Carla (non è il suo nome) che da tre anni combatte per avere un piccolo aumento dal titolare del negozio. Un fenomeno molto diffuso e ben conosciuto, quello dello sfruttamento, come peraltro ricorda la stessa Francesca nel suo video e come sottolineano i tantissimi commenti. «Perché mai una persona in cerca di lavoro dovrebbe accettare questa sorta di schiavismo legalizzato, e assolutamente indegno di un Paese civile, e non, piuttosto, accettare di sopravvivere con il reddito di cittadinanza?», è la domanda retorica di Roberto.
Parole che in qualche modo risuonano in quelle del professor Luca de Luca Picione, che alla Stampa dice: «Si discute molto, in questo periodo, della mancanza di addetti in alcuni settori, tirando in ballo alternativamente il reddito di cittadinanza o la presunta pigrizia dei giovani. In realtà il mercato del lavoro è sempre regolato dalla domanda è dall’offerta, ed offrendo stipendi regolari il personale non mancherebbe. Altro discorso – aggiunge il sociologo della “Federico II” – è proporre cifre e condizioni non dignitose o persino scandalose, e questo vale anche per le professioni più qualificate. Non può sorprenderci dunque che molti ragazzi preferiscano andare all’estero o restare addirittura fermi in attesa di tempi migliori».