Meloni, la giostra dei veti
Sospetti e rabbia tra le fila di Fdi: «Alzano un muro contro di noi per non darci Palazzo Chigi»
ROMA. È uno dei segreti peggio custoditi dei palazzi romani: a destra si cerca un candidato per Palazzo Chigi. È ovviamente una selezione informale, perché la coalizione, in caso di vittoria alle politiche, una regola ce l’ha, anzi ce l’avrebbe: il leader del partito più votato viene proposto come presidente del Consiglio. In assenza di primarie, che Silvio Berlusconi non ha mai voluto, il meccanismo era quasi automatico. Se ne deduce, guardando i sondaggi e anche i risultati delle amministrative, che la prescelta dovrebbe essere Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia però ha un sospetto: la regola in vigore negli anni scorsi sta evaporando, per far strada a un’altra soluzione: l’indicazione, da parte sua di un’altra figura. Un Prodi (o un Conte) di destra, che abbia capacità di mettere d’accordo la coalizione e che abbia un profilo moderato. Di nomi ne girano molti, i più ricorrenti sono quelli di Giulio Tremonti e di Guido Crosetto, ma la vera questione è il metodo: la regola aurea del centrodestra viene messa in discussione. Nessuno glielo ha detto apertamente, anche perché praticamente non ci si parla da oltre sei mesi, ma nelle dichiarazioni degli alleati, l’ex ministro della Gioventù legge una vaghezza sospetta, specie quando si pone il tema della leadership. «Non è il momento di affrontare il tema», hanno ripetuto, in diverse occasioni, Silvio Berlusconi, Antonio Tajani e Licia Ronzulli. Il Cavaliere nel commentare le comunali di domenica scorsa ha ricordato che «si vince con i candidati moderati», un vecchio concetto, ma che letto oggi, con le Politiche davanti, ha fatto riflettere. La concorrenza con Matteo Salvini viene individuato da più parti come un fattore che indebolisce la coalizione. Il leader della Lega su questo tema invece, «non è ambiguo», dicono dal suo entourage, specificando che la Lega spera di tornare il primo partito. Ma non basta per tranquillizzare Meloni. «Questi criteri che cambiano in corsa lasciano perplessi - dice Federico Mollicone, responsabile cultura di FdI - Giorgia sarebbe la prima premier italiana, un vanto per tutti. Noi abbiamo rispettato la regola quando eravamo al 4%, ora che siamo i primi non vale più. Perché?». La risposta ufficialmente non esiste, ma l’elenco delle resistenze è lungo. Meloni, secondo i critici spesso interni, non avrebbe la capacità di unire il centrodestra, non darebbe le garanzie sufficienti in Europa e spaventerebbe i moderati. Se si assecondassero queste teorie, in caso di vittoria del centrodestra, Meloni potrebbe indicare un candidato premier, capitalizzando il «beau geste» garantendo a FdI (e a se stessa) una posizione privilegiata all’interno del nuovo esecutivo. Nel partito questo scenario viene respinto , «tanti discorsi sul femminismo e poi vogliono che una donna nomini un uomo», ma dopo la denuncia, c’è la consapevolezza: «Rischiamo di fare la fine di Salvini nel 2018, quando dopo le elezioni non si trovò una maggioranza. È chiaro che stanno alzando un muro contro di noi», si sfoga un dirigente di primo piano. Chi lo starebbe alzando? Non solo il fantomatico establishment, italiano ed europeo, spaventato da un ipotetico governo a trazione nazionalista. Nella percezione di FdI il fuoco più insidioso sarebbe quello amico. Così si spiegherebbero gli attacchi ricevuti dopo le amministrative, specie per la sconfitta a Verona del sindaco uscente Federico Sboarina (di FdI). Le critiche avrebbero quindi un obiettivo che va molto al di là delle disavventure scaligere: frustrare le ambizioni di Meloni per la posta grossa.
Oltre ai segnali dai palazzi, ci sono quelli degli intellettuali d’area. Marcello Pera, ex presidente del Senato e intellettuale molto apprezzato da Meloni, inserito nella rosa dei candidati alla presidenza della Repubblica, conosce questo dibattito: «Giorgia ha due strade davanti: se ottiene un successo bulgaro allora può aspirare davvero a Palazzo Chigi, ma se la vittoria non fosse così schiacciante allora potrebbe fare la kingmaker. È una donna con una testa politica notevole, è intelligente e in ogni caso saprà dare le carte». Per Antonio Socci, giornalista e scrittore, bisogna individuare un federatore, una sorta di Romano Prodi del 1996: «È presumibile che Meloni non voglia affrontare una campagna elettorale come una corrida che ha la sua persona come bersaglio - ha scritto su Da persona intelligente sicuramente pensa che la pur giusta ambizione politica personale non deve compromettere il risultato di una coalizione che è maggioritaria nel Paese».
Paolo Guzzanti, giornalista ed ex parlamentare del Pdl, che ha da poco pubblicato il saggio La Maldestra (Paesi edizioni) spiega: «Non credo che Meloni arriverà a Palazzo Chigi: lei è forte perché intercetta la pancia del Paese e ha qualità indubbie, ma deve completare la “defascistizzazione” del partito, un cammino lasciato a metà, e fare i conti con gli alleati». Tanto materiale per un vertice che ancora non ha una data.