Benvenuti, Rocco, Grezar: così i grandi dello sport portano il “Tifo” nella storia
In un libro edito dal Mulino Daniele Marchesini e Stefano Pivato indagano riti e conseguenze nella società della passione di chi sostiene le varie discipline e i loro protagonisti
TRIESTE Quarant’anni fa, Italia Brasile al Mundial di Spagna. Una partita che ha segnato un’epoca, ha chiuso una pagina straziante della nostra storia, quella del terrorismo e delle stragi, degli anni di piombo e della paura di uscire di casa. Nella sera dei miracoli, così dolce che si potrebbe bere, da passare in centomila in uno stadio, come cantava profeticamente Lucio Dalla, una partita di calcio ha dimostrato come un paese che si era frammentato, potesse ritrovare la sensazione di sentirsi unito, forte e vincente. Naturalmente non fu vera gloria, perché quell’inebriante 1982 introdusse l’Italia da bere, degli yuppies e del craxismo che ruzzolò nel polverone di Tangentopoli. Ma quel 5 luglio ‘82 la gente scese nelle piazze per andare a festeggiare tutti assieme, forse per la prima volta senza la paura di scambiare gli scoppi di petardi per colpi di pistola. Un evento sportivo racconta meglio di tanti saggi i cambiamenti di una società. Perché è un fenomeno totale, nel quale gli attori sono sì quelli che lo interpretano sul campo, ma anche chi lo guarda non è uno spettatore passivo. All’inizio di ‘Massa e potere’ Elias Canetti descrive un’arena. “Da essa risuonano grida, verso la città rivolge un muro privo di vita, verso l’interno costruisce un muro di uomini. Tutti i presenti voltano la schiena alla città. Si sono staccati dalla struttura della città e per la durata della loro permanenza nell’arena nulla di ciò che accade in città li preoccupa”. Canetti descrive quel compatto e ribollente calderone che è il tifo sportivo. “Il tifo, scriveva Pasolini, è una malattia giovanile che dura tutta la vita”. E lui ne era stato contagiato al punto da dipingere coi colori rossoblù del Bologna, la stanza della sua casa di Casarsa.
Il tifo ha molto in comune con la vita e la morte, l’amore e l’odio, sostengono due storici come Daniele Marchesini e Stefano Pivato, che al ‘Tifo’ (Il Mulino, pagg. 267, euro 22) hanno dedicato un saggio nel quale la passione sportiva in Italia viene indagata tra stadi, velodromi e palazzetti dello sport, templi dove si celebra un rito pagano. Letteratura e giornalismo d’epoca, memorie e documenti, film, canzoni e perfino gadget compongono un racconto corale e popolare della nostra società.
Il tifo si coagula attorno ai suoi eroi, e se questi hanno un destino tragico e sono giovani divengono cari agli dei, alimentando il mito. È il caso del Grande Torino che nel 1949 si schianta contro la basilica di Superga, e tra i calciatori che muoiono c’è il triestino Pino Grezar. L’apoteosi del tifoso è il successo del suo idolo, e più le vittorie sono faticose e difficili più sono amate. Sanno di riscatto, come il caso degli emigranti italiani che a New York nel 1967 vedono Nino Benvenuti, un profugo dall’Istria, uno che come loro ha dovuto lasciare la sua casa, diventare campione del mondo di pugilato. Sono tra i 16 e i 18 milioni gli italiani che a notte fonda ascoltano alla radio la cronaca del match. Poche ore dopo la fine dell’incontro le città si paralizzano, cortei di vetture, gente che si riversa nelle strade, balconi imbandierati col tricolore. Due anni dopo è un altro triestino, Nereo Rocco, a far scendere in strada gli italiani, o almeno una parte di loro, quella che tifa Milan, quando la sua squadra vince la Coppa dei Campioni. Ma il libro di Marchesini e Pivato non racconta solo gesta sportive, ma anche il gustoso mondo che ruota attorno. E’ ancora Rocco il protagonista di un episodio ricordato nel saggio dal quale, capitasse oggi, il popolare Paron non ne uscirebbe benissimo. È il 1962 e al Milan arriva calciatore brasiliano di colore, Germano, che non rende come ci si aspettava; così si dice che per spronarlo non mancassero esortazioni all’insegna di ‘bongo bongo’ o ‘banana’. Chissà se era vero, lasciamo il beneficio del dubbio. A percorrere tutto il libro è poi il rapporto tra l’evento sportivo, il tifo e la politica. E’ noto che con lo sport moderno il potere organizza le masse per orientarle a suo uso, ma l’evento offre anche un palcoscenico ai contestatori. È il caso, per restare a un altro clamoroso caso che coinvolge Trieste, del Giro d’Italia interrotto nel 1946 dai filojugoslavi, con la celebre fuga per la vittoria di Giordano Cottur conclusa all’ippodromo di Montebello.