La parità uomo-donna? Ci vorranno (ancora) 132 anni
L’analisi del Global Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum. La stima pre-pandemia prevedeva di superare il gender gap fra 100 anni. Sotto la lente 146 Paesi. L’Italia è a metà classifica
Ci vorranno ancora 132 anni per colmare il divario di genere e raggiungere la parità tra uomini e donne. Un tempo lunghissimo che, a causa delle ricadute del Covid e di una ripresa che è lenta, non tende a migliorare. Anzi. Secondo le tendenze precedenti al 2020, vale a dire prima della pandemia, il divario di genere si sarebbe dovuto chiudere in 100 anni (l’anno scorso gli anni richiesti erano 136). L’analisi è del Global Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum che misura i cambiamenti nei divari di genere in quattro aree: partecipazione economica e opportunità, livello di istruzione, salute e sopravvivenza ed emancipazione politica. Sotto la lente ci sono 146 Paesi. La riduzione delle diversità tra uomini e donne è un fattore decisivo per incrementare la prosperità di un’area. In pratica, quei Paesi che investono nell’uguaglianza e rendono più facile la conciliazione tra lavoro e vita familiare tendono ad essere più prosperi.
Come si posiziona l’Italia?
Il nostro Paese è ancora a metà classifica ma soprattutto non fa progressi: occupa la 63esima posizione, la stessa dell’anno prima e registra un punteggio complessivo che è di 0,720 (la parità è conteggiata a quota 1). In cima alla graduatoria c’è la virtuosa Islanda (con uno score a 0,908) che si conferma in testa anche nel report 2022. Seguono Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia. In sesta posizione c’è il Ruanda seguito dal Nicaragua e successivamente da Namibia, Irlanda e Germania. L’Islanda è l’unico Paese al mondo ad aver colmato oltre il 90% del gender gap.
Tornando all’Italia, i sottoindici del sistema di misurazione dell’uguaglianza di genere del Wef rivelano delle sorprese: il nostro Paese brilla nell’ambito della partecipazione politica. Qui occupiamo la 40esima posizione e siamo saliti di un gradino rispetto all’anno prima. A contribuire al progresso è, per esempio, il numero di donne che siedono in Parlamento (36esima posizione) e in posizioni ministeriali (33esimo posto in classifica). Anche riguardo al livello di istruzione ci sono spunti interessanti: complessivamente siamo 59esimi in classifica grazie a buoni punteggi su alfabetizzazione e iscrizione ai percorsi scolastici. Nonostante le buone premesse, il quadro peggiora però se si guarda ai risultati: l’inclusione economica e le opportunità al femminile sono ancora poche. Qui la posizione dell’Italia crolla agli ultimi posti e finisce a quota 110 in classifica. E’ ancora bassa la partecipazione al lavoro (ci piazziamo al 99esimo posto in classifica) e scarsa è la parità salariale (114esimi con un punteggio di 0,567). Va male riguardo alle quote di legislatori, alti funzionari e dirigenti donna (97esima posizione). C’è poi un altro ambito in cui l’Italia rimane indietro ed è quello della salute e delle aspettative di sopravvivenza. Anche qui superiamo quota 100 (108) sia riguardo al rapporto tra i sessi alla nascita (126), sia rispetto alle aspettative di vita in buona salute (105).
Il nostro Paese insomma forma talenti e donne nella politica ma poi non riesce a migliorare le condizioni economiche femminili. La crisi potrebbe peggiorare questo quadro. In generale l’impennata dell’inflazione fa paura. «La crisi che riguarda il costo della vita sta colpendo le donne in modo sproporzionato – dice Saadia Zahidi, Direttore Generale del World Economic Forum -. Di fronte a una ripresa debole, i governi e le aziende devono compiere due serie di sforzi: politiche mirate per sostenere il ritorno delle donne alla forza lavoro e lo sviluppo dei talenti femminili nelle industrie del futuro. Altrimenti, rischiamo di erodere definitivamente i progressi degli ultimi decenni».