“Nuova pioggia di missili e spari su Zaporizhzhia”: la centrale nucleare torna nel mirino
DISTRETTO DI NIKOPOL. Sono all’incirca le nove del mattino (le otto ora italiana) quando il convoglio lascia Energodar, la città nel territorio controllato dalle truppe di Mosca dove sorge la centrale nucleare. In testa c’è un blindato con la Z, segue una jeep della polizia, poi cinque vetture bianche con la scritta UN azzurra e la bandiera delle Nazioni Unite. A chiudere un’altra Z e sirene blu. Marciano in direzione opposta a quella del 1 settembre, quando gli ispettori Aiea capitanati dal Rafael Grossi si sono avventurati nella zona grigia, sotto il fuoco incrociato, per raggiungere l’impianto. Un successo diplomatico, il secondo in questi oltre sei mesi di conflitto dopo la ripresa dell’export di grano ucraino, e di altrettanta urgenza vista la fragilità del quadro di sicurezza della centrale interessata da spregiudicati combattimenti. La sua integrità fisica «è già stata violata», ha tenuto a sottolineare Grossi rientrato in territorio ucraino assieme a parte dei funzionari tra cui l’ingegnere italiano Massimo Aparo.
Tutti gli esperti ora sono tornati, tranne due, il primo nucleo costitutivo della task force che presidia la centrale in modo permanente, avamposto dell’agenzia atomica Onu nel sito nucleare più grande d’Europa. Sui contenuti della missione vige il riserbo, sebbene alcuni dettagli emergano sui social come quello divenuto un meme. Grossi chiede a un delegato russo informazioni su un razzo piantato nel terreno nell’area della centrale. Osservando l’inclinazione, gli pare evidente che sia partito dai territori occupati dalle forze filorusse. L’interlocutore è Renat Karchaa, consigliere del direttore generale di Rosatom, azienda statale russa che si occupa di nucleare. Il quale fornisce una singolare interpretazione balistica, il razzo è arrivato dal lato ucraino e, in fase di discesa, avrebbe compiuto una rotazione di 180 gradi. Per gli ucraini è la prova delle «menzogne» russe sugli attacchi condotti dalle forze di Kiev, ma la gincana di accuse non si placa. Le forze ucraine «hanno ripreso a bombardare in modo caotico la centrale e tre spari hanno colpito la zona dell’impianto», affermano le autorità vicine a Mosca.
Le immagini mostrano una palazzina con un pezzo di tetto distrutto e un foro, il secondo dopo quello causato giorni fa ad un altro edificio. I raid hanno provocato l’interruzione dell’ultimo sistema di connessione della centrale all’impianto di distribuzione della rete elettrica ucraina, e lo spegnimento del reattore numero sei. La presenza della task force Aiea, a quanto pare, non è un deterrente, così come non lo era stato nei giorni scorsi quando i bombardamenti si erano intensificati, anche sulle zone circostanti. Come nel distretto di Nikopol, sull’altra sponda del fiume Dnieper, in linea d’aria esattamente cinque chilometri di traiettoria diritta. Ieri ad essere raggiunte sono state le torri elettriche. Ci arriviamo attraversando un suggestivo tratto di campagna, la vegetazione si apre d’improvviso sul fiume, davanti la centrale, maestosa, nelle cui vicinanze i russi hanno posizionato batterie missilistiche che fanno fuoco da giorni su questa parte del fiume come confermerebbe un video di The Insider. «Hanno iniziato a tirare missili alle due di notte proprio da lì vicino alla centrale», spiega Anatoly mente spinge la bicicletta, accanto c’è la moglie Tatiana che ci invita nell’orto. «Questa comunità vive di frutti della natura e pesca fluviale, ma da circa una settimana sono prigionieri del terrore. Dobbiamo trascorrere lunghe ore in cantina per ripararci, hanno iniziato dal 1 settembre». Dall’arrivo degli ispettori Aiea. Anche la scuola elementare «Yealmpstone Farm» è stata centrata: «Il 1 settembre abbiamo avuto questo augurio dai russi per il nuovo anno scolastico, sono arrivati quattro missili, sono caduti sulle classi e sui giardini», ci racconta il preside. «Il primo settembre i russi mi hanno fatto questo regalo, il razzo veniva dalla centrale e ha preso casa mia», dice invece Sergey mentre mostra il proietto che gli ha bucato da parte a parte una delle stanze.
Il timore che oltre ai bombardamenti si verifichi un incidente nucleare è palpabile, chi può va via, come i giovani, gli altri no. «Possiamo solo guardare, io da qui non me ne vado - dice Valeriy, mentre tra le mani accarezza un fascio di saggina -, è morta mia moglie da poco, questa casa è tutto ciò che mi rimane». Vladimir ride quando ci mostra l’auto centrata in pieno: «Ero sceso da cinque minuti». Ci racconta che il fratello è in Russia e litigano ferocemente al telefono: «Non crede che qui ci sia la guerra, dice che ci siamo bevuti il cervello a causa della propaganda di Kiev». Al calare del sole l’odore denso della zuppa di patate è un piacevole richiamo al focolare, mentre sulle placide acque del Dniper il riflesso lascia spazio a quello lunare, quasi a conciliare il sonno. È solo la quiete prima della tempesta.