Marco Damilano a Pordenonelegge racconta “Il Presidente” monarca della Repubblica
foto da Quotidiani locali
Il racconto segreto della Repubblica attraverso le battaglie intorno al Quirinale. Partendo dalla «fissazione» di gioventù per l’evento dell’elezione, il giornalista Marco Damilano, già direttore de L’Espresso, editorialista del quotidiano Domani, volto di Rai3 con il suo programma serale “Il Cavallo e la Torre”, ricostruisce i 75 anni di storia in cui “Il Presidente” (La nave di Teseo) – così si intitola il libro presentato oggi (sabato 17 settembre) alle 17, a Pordenonelegge, attraverso le domande della direttrice del Piccolo Roberta Giani – «è stato di volta in volta garante, notaio, arbitro, ma anche un monarca a tempo, con la sua corte e i suoi intrighi».
Damilano, partiamo dall’inizio: quando ritrova i quaderni in cui prendeva appunti sull’elezione del Quirinale.
«Era il 1985, avevo 16 anni. Ritagliavo e conservavo gli articoli, costruivo il mio primo archivio di carta. Grazie al senatore democristiano Franco Salvi, riuscii quell’anno ad avere il prezioso biglietto per Montecitorio. Iniziai così a entrare in un mondo arcano fatto di regole misteriose per il grande pubblico, ma che gli esperti della politica sono in grado di decodificare».
La definisce “una questione di Palazzo”.
«Accade tutto lì dentro. Ma sempre di più l’eletto è una mediazione tra la società e il Palazzo. Il Quirinale è la nostra Corona repubblicana. La regina Elisabetta II è stata un modello, non so quanto inconscio o quanto perseguito. E i nostri presidenti, monarchi a tempo, rappresentano l’unità nazionale e si muovono con uno stile sobrio, discreto, riservato».
Dobbiamo essere fieri di questa figura?
«Tra tante istituzioni che chiedono una riforma, il presidente della Repubblica si conferma il vertice dei costituenti: ha poteri nulli quando i rapporti tra Governo e Parlamento funzionano, determinanti quando il sistema si inceppa».
L’elezione più scontata e quella meno?
«La più scontata fu proprio quella del 1985, con Cossiga. La più tragica quella del 1992, con Scalfaro, un momento segnato dalla strage di Capaci, l’inizio della lunga crisi dei partiti».
Quale invece la vicenda con più intrighi?
«Quella del 1971, Leone al Colle. La politica nel pantano, ma anche le manovre della P2 per impedire l’elezione di Moro».
Sarebbe stato un buon presidente Moro?
«Nessun dubbio. Mi associo a Pertini che disse a chiare lettere che, non fosse stato barbaramente ucciso, sarebbe toccato a lui».
Dal pozzo di Vermicino al trionfo del Bernabeu. Sono di Pertini le immagini più forti nella memoria?
«Non dimentico le parole del 1980 sul ritardo dei soccorsi in Irpinia. La sua intenzione era di un messaggio formale alle Camere, ma i suoi collaboratori gli consigliarono le telecamere, convinti che sarebbe stato un messaggio meno dirompente. Accadde il contrario. E fu la prima volta che un esponente delle istituzioni si rivolgeva ai cittadini per denunciare lo Stato».
Leone che faceva le corna?
«Immagine simbolica di anni di grande confusione».
Il presidente migliore e il peggiore?
«Mattarella sta ricoprendo l’incarico con dignità, prudenza e saggezza in un settennato tra i più drammatici. Il peggiore forse è stato Gronchi: fin dall’inizio commise l’errore di raffigurarsi come il capo di una Repubblica presidenziale».
Chi è arrivato vicino al traguardo ed è stato beffato?
«Fanfani, più volte. E, più nascostamente, Andreotti».
Prodi e Berlusconi hanno avuto chance reali?
«Prodi sì, se il Pd non l’avesse pugnalato. Il nome di Berlusconi è circolato molto nel 2022, ma era solo il tentativo di tenere unito il centrodestra».
Un presidente donna quando?
«Definizione che non mi piace. Non è una categoria, ci sono state e ci sono biografie politiche degne di occupare quella carica».
Nell’elezione del presidente che volto mostra l’Italia?
«Il peggiore nella modalità, quasi sempre il migliore nella scelta».
Il presidenzialismo?
«Se si intende dare ai cittadini la possibilità di decidere il presidente della Repubblica con gli attuali poteri, si apre la questione di una figura che deve essere garante dell’unità nazionale e non può essere eletta a colpi di maggioranza».