Sua Maestà, il mondo si inchina per l'ultimo addio alla Regina
INVIATA A LONDRA. Quando nella cappella di San Giorgio, a Windsor, i simboli della monarchia - la corona, lo scettro e il globo - di Elisabetta II vengono spostati dal feretro all’altare, Elisabetta II è consegnata alla storia. Sono le 16,38. L’ultimo «dovere» per questa regina che ha avuto il potere di riunire il Paese, nei momenti difficili della vita e anche adesso, nella morte. Ali di folla la hanno accompagnata nella sua marcia, ieri, dalla Westminster Hall, alla cattedrale di Westminster, e poi fino a Wellington Arch e al castello di Windsor, il posto doveva aveva scelto di vivere durante e dopo il lockdown. Una commozione collettiva, e anche un senso di perdita, l’incertezza per quello che sarà senza di lei. L’ultima persona che si inchina davanti alla sua bara è Chrissy Heerey, membro in servizio della Raf. «Mi sono sentita molto onorata per aver avuto l’opportunità di poter andare a vederla e dirle il mio addio». Il popolo lancia fiori al passaggio del carro militare su cui è posta la bara. La gente si inchina, intona God save the Queen, e lo farà anche quando invece nell’Abbazia risuona «God save The King». Non sono pronti per questo addio. Devono ancora prendere le misure con il nuovo re. Hyde Park è affollato di persone, gli occhi puntati sui maxi-schermi, il silenzio che li avvolge.
Un rito antico ha scandito le ultime ore della regina, tutto è stato fatto come deciso da lei. A iniziare dalla scelta della cattedrale di Westminster per la prima cerimonia funebre, in modo da permettere a più persone possibili di essere lì, fuori e dentro l’abbazia. Duemila ospiti, almeno 500 dignitari, 100 tra teste coronate, capi di Stato e massime autorità. Dentro le navate dell’Abbazia tutto quel che rimane della monarchia europea: i reali di Spagna, Felipe e Letizia con l’ex re «reprobo» Juan Carlos arrivato a Londra in forma privata; Guglielmo e Maxima di Olanda, con l’ex regina Beatrice; il re Harald di Norvegia con la moglie Sonia, ma anche Filippo e Matilde del Belgio e Alberto e Charlene di Monaco. Ci sono i principi del Lussemburgo e del Liechtenstein, l’imperatore del Giappone Naruhito che ha voluto partecipare anche se normalmente i membri della famiglia reale nipponica non vanno ai funerali. Chiamala, se vuoi, scaramanzia. Un piccolo mondo antico che si mescola ai capi di Stato repubblicani tra cui anche Sergio Mattarella insieme alla figlia Laura. Ci sono Joe Biden, Emmanuel Macron, i sei ex primi ministri del Regno Unito: Boris Johnson, Theresa May, David Cameron, Gordon Brown, Tony Blair e John Major. Oltre ovviamente all’attuale, Liz Truss.
E in qualche modo la regina ha parlato a tutti loro. Cantava il coro di Westminster. Un inno che porta un messaggio preciso, che riconduce il potere alla sua dimensione terrena, alla temporalità. La prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinti (15 20-26) è un monito: «…E come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza». E nel suo sermone l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby ammonisce: «Coloro che hanno servito saranno amati e ricordati come coloro che sono attaccati ai privilegi e al potere saranno dimenticati».
La solennità di una cerimonia come non se ne erano più viste dalla morte di Winston Churchill nel 1965, ma anche l’intimità di ricordi privati, nella cattedrale che ha visto l’incoronazione di Elisabetta e il suo matrimonio con Filippo. Sul podio per le letture salgono la rappresentante del Commonwealth e Liz Truss. La famiglia reale ascolta, composta, disposta nella navata per «ordine di importanza»; Carlo è commosso, William ha le guance che si arrossano, Harry è scuro in volto, per il grande dolore, certo, ma anche, forse, per essere stato posizionato in seconda fila, e senza divisa nonostante lui il militare lo abbia fatto davvero con due missioni in Afghanistan. Ancora uno sgarbo, una rigida adesione al protocollo e nessuna concessione al cuore, al legame familiare. «La corona viene sempre prima», ricordava la stessa Elisabetta. E chi fa parte della «ditta» deve convincersi che non c’è altra strada per mantenere privilegi e «posto di lavoro». Decidere di riprendersi la «libertà», declinando gli impegni di rappresentanza della famiglia, contestando regole millenarie, come hanno fatto Harry e Meghan equivale a chiamarsi fuori e quindi a finire in seconda fila anche al funerale di tua nonna. Ma ieri gli occhi del popolo erano tutti per i due principini, George e Charlotte, 9 e 7 anni, figli dell’erede al trono William e di Kate Middleton. Arrivano a Westminster con la mamma e la nonna Camilla. Sono vestiti a lutto, lei ha un cappellino nero che si tocca nervosamente quando a un certo punto scoppia a piangere nonostante le abbiano insegnato a non farlo. È probabilmente il suo primo incontro ravvicinato con la morte e con i riti che la accompagnano. La consola la zia Sophie, moglie di Edoardo di Wessex, ultimogenito della regina. Ed è forse il momento più «vero» di una giornata in cui il dolore è stato incartato da un cerimoniale antico e teatrale. Altre lacrime protagoniste, quelle di Meghan, duchessa di Sussex ripresa in un momento di commozione e subito criticata visto che ormai è diventato quasi uno sport nazionale. Scrivono i tabloid nazionali, «d’altronde è un’attrice». Messa impietosamente a confronto con l’algida e perfetta Kate che riesce sembra nell’impresa di non muovere nemmeno un muscolo facciale. Impassibile e bellissima anche ieri con un chocker di perle giapponesi, regalo della regina.
Riti di addio in cui si sono intrecciate le due vite di Elisabetta II, regina e donna, tanti i riferimenti, soprattutto nella scelta delle musiche, alcune composte da Sir William Henry Harris, organista della Cappella di San Giorgio tra il 1933 e il 1961 che ha insegnato il pianoforte all’allora principessa di York, ignara del suo destino. Una regina, ma anche una madre. E il figlio, nuovo re, le rende omaggio per questo suo ruolo con un biglietto scritto a mano, posato tra le rose della composizione che orna la bara, dedicato a Mummy: «In ricordo amorevole e devoto, Charles R». Ancora le due dimensioni che si sovrappongono, amore e devozione, intimità (Mummy) e regole formali (firmare con la R., come Rex, in latino, dopo il nome).
A Windsor, alla fine della processione attraverso la Long Walk che porta al castello, la aspettavano il suo pony Emma e i suoi adorati cani di razza Corgy, Muick e Sandy, affidati da adesso in poi al principe Andrea e alla sua ex moglie Sarah Ferguson. Sostituiti a Buckingham Palace dai jack russel di Carlo e Camilla, Beth e Bluebell. Nella seconda cerimonia di commiato, con 800 ospiti, il decano di Windsor David Conner ha reso un tributo alla sua regina, ma anche una amica con cui scambiava spesso opinioni. «In un mondo rapido e spesso travagliato», ha detto, «la sua presenza serena e dignitosa ci ha dato fiducia per affrontare il futuro come ha fatto lei, con coraggio e speranza. Con cuore grato, riflettiamo su questi e molti altri modi in cui la sua lunga vita è stata una benedizione per noi. Preghiamo che Dio ci dia la grazia di onorare la sua memoria seguendo il suo esempio».
Quando il Lord Ciambellano, Andrew Parker, una delle figure più importanti della Casa reale, ha rotto il «bastone del comando» posandolo sulla bara il tempo si è fermato. E la gente per le strade, nel parco, davanti al castello si è inchinata. Finisce così la seconda era elisabettiana. Adesso God Save the King. E Carlo III avrà sicuramente bisogno di una mano.