Rognoni ministro della lotta al terrorismo
Succeduto al Viminale a Cossiga, dimessosi dopo l’uccisione di Moro, Rognoni venne chiamato ad affrontare gli anni delle Br e dei neofascisti
/ pavia
«Sulla mia agenda ho annotato per lunedì prossimo: “Andare a Pavia a trovare Virginio Rognoni”». Lo dice con la voce rotta dal pianto, Armando Spataro, magistrato ed ex membro del Consiglio superiore della magistratura, per quell’incontro che non ci sarà, per la perdita di quello che considera «il più grande politico italiano degli ultimi cinquant'anni e anche un grande vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura». Un legame antico, solido e profondo, nato nell’aprile del 1981 con la telefonata che Rognoni, da ministro dell’Interno, fece a Spataro, all’epoca giovanissimo sostituto procuratore che poi si sarebbe dedicato soprattutto alle indagini antiterrorismo.
Telefonata che l’ex magistrato ha ricordato spesso nei suoi incontri pubblici: «Era stato appena arrestato il brigatista Mario Moretti (uno dei componenti del Comitato esecutivo delle Br, ndr) nell'ambito dell’indagine condotta dalla Digos a Milano, e Rognoni chiamò per dirmi: “Dottore, lei sa quanto è importante per noi dare la notizia, ma prima vengono le esigenze della giustizia. Quindi lei faccia tutto quello che deve fare e quando avrà finito, tra un'ora, un giorno o una settimana, mi chiami: solo quando da lei avrò l'autorizzazione io darò questa notizia”. In queste parole si vede lo spessore della persona. Se penso che altri ministri si sono attribuiti persino il merito di operazioni nelle quali non c'entravano per niente...».
La lezione di Rognoni
L’episodio citato a proposito dell’arresto di Moretti è per Spataro emblematico «della correttezza assoluta di Rognoni, del suo differente approccio alla comunicazione, soprattutto se pensiamo a certe abitudini odierne». L’ex magistrato ha ribadito in passato più volte come «notizie di operazioni di terrorismo internazionale vengano diffuse prima ancora che si realizzino, notizie che vengono riprese senza alcun potere critico da parte della stampa, come ad esempio quella sui terroristi che arrivano sui barconi dei migranti in Sicilia».
Esattamente il contrario della “lezione” impartita da Rognoni. «L'ho conosciuto durante gli anni del terrorismo, lui era diventato ministro dell'Interno dopo l'uccisione di Moro – ricorda Spataro – è stato un eccellente politico perché nel proporre leggi che poi furono approvate sentiva esperti come Vittorio Grevi e magistrati dell'antiterrorismo. Non recepiva acriticamente le loro opinioni, le ascoltava per avere degli spunti. Poi, in piena autonomia e rivendicando la propria competenza, procedeva con leggi che sono state decisive per sconfiggere il terrorismo, esempi per la legislazione antimafia. Ricordo la grande attenzione che dedicava ai discorsi che alcuni di noi, convocati da lui, facevano». Succeduto al Viminale a Francesco Cossiga- dimessosi dopo l’uccisione di Moro - Virginio Rognoni venne chiamato ad affrontare uno dei periodi più delicati della storia dell’Italia, gli anni di piombo caratterizzati dal terrorismo delle Br e dei gruppi neofascisti (erano oltre 200 le organizzazioni terroristi attive nei cinque anni da ministro dell’Interno, dal 1978 e fino al 1983).
«Era stato anche eccezionale nel contrastare ogni tipo di dietrologia, per esempio sul caso Moro – dice ancora Spataro – rispondendo in modo chiarissimo alle varie commissioni».
Cinque anni cruciali
Legato ai suoi anni al Viminale anche il ritrovamento del memoriale Moro, nell’ottobre del 1978. «Il generale Dalla Chiesa chiamò e mi disse che avevano scoperto il covo delle Br e che l' autorità giudiziaria, in quel momento, si trovava sul posto – riferì Rognoni – ci trovammo a Tortona, nella caserma dei carabinieri. Aggiunse che nel covo era stato trovato anche il memoriale con le lettere di Moro. Fu quello poi dato alla stampa, nonostante la fuga di notizie già avvenuta. Una volta ottenuto il memoriale da Dalla Chiesa mi consultai con il presidente del Consiglio Andreotti, a cui lo feci leggere».
Ma nei cinque anni al ministero dell’Interno ci furono anche le accuse alle forze antiterrorismo per presunte torture ai brigatisti rapitori del generale della Nato, Dozier, la fuga in Francia di Marco Donat Cattin, figlio del ministro del Lavoro Carlo, accusato di banda armata e terrorismo, le stragi di Ustica e della stazione di Bologna nel 1980.
«Ci sentivamo con una certa frequenza, anche per scambiarci opinioni, spesso gli facevo leggere i miei articoli – aggiunge Spataro – Virginio Rognoni dovrebbe essere un esempio per tutti, soprattutto in questi tempi, la sua perdita è incolmabile. Come vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ha operato in un quadriennio difficile con grande attenzione e garbo. Senza recedere sull'importanza di difendere l'autonomia della magistratura».