«Se non ho un cane per andare a caccia e ho solo un gatto, allora ci vado con il gatto. Non posso certo andarci da solo». José Mourinho non è uomo che parla a sproposito, soprattutto quando si rivolge alla stampa. Nel 2010, da allenatore del Real Madrid, utilizzò questa metafora per riferirsi ai suoi due principali attaccanti: Higuaín, individuato nel cane, il prescelto, infortunatosi e dunque indisponibile per un bel pezzo, e Benzema, il gatto, che aveva tutta l’aria di essere considerato un rimpiazzo. Il francese non la prese benissimo: «Io e Mourinho avevamo una buona relazione», raccontò anni più tardi Benzema. «Era una persona che rispettavo, ma in quel momento quel rispetto venne meno. Andai da lui e gli dissi quello che avevo da dirgli».

Un Pallone d'Oro senza rivali

Anche il più grande dei campioni, in carriera, ha dovuto lottare per arrivare in cima. Karim Benzema è il nuovo Pallone d’Oro e c’erano pochi dubbi in proposito: oggi è il giocatore più decisivo che ci sia al mondo, autore di una stagione da 44 gol in 46 partite – una media da fenomeno che ha sigillato i trionfi del Real Madrid, in campionato e Champions League. Soprattutto, Benzema ha legato la sua annata da deus ex machina al cammino europeo: ogni qual volta il Real rischiava di essere risucchiato nella corrente degli eliminati, c’era il francese a tenerlo in vita. 

La tripletta al Psg nella gara di ritorno al Bernabéu, segnata nel giro di 17 minuti, capovolgendo una doppia sfida che sembrava saldamente nelle mani dei francesi; un’altra tripletta, in casa del Chelsea, e ancora un gol agli inglesi nella gara di ritorno, quello della qualificazione dopo la rimonta sfiorata dai Blues; la doppietta a Manchester per tenere a galla un Real in balia del prodigioso City, e dunque un’altra rete-qualificazione, nel match di ritorno, a frustrare le speranze della squadra di Guardiola e a mandare in paradiso quella di Ancelotti, che a Parigi avrebbe vinto la sua quattordicesima Champions. 

In questo avviluppo di emozioni, Benzema ha dato segnali di onnipotenza: l’uomo con cui tutto il calcio europeo ha dovuto fare i conti, uscendone irrimediabilmente sconfitto. Un prodigio di tecnica e determinazione, una specie di umanoide che ha ridisegnato il corso del calcio: quando, dopo Messi e Ronaldo, pensavamo che sarebbe terminata l’era degli X-Men prestati al calcio, eccone arrivare un altro, nel modo più sorprendente e inatteso possibile.

Cani, gatti, e un orgoglio ritrovato

Quando Mourinho gli diede del «gatto», Benzema non era il giocatore che conosciamo oggi. Era arrivato al Real Madrid nel 2009, a 21 anni, per 35 milioni di euro. Con il Lione, la squadra della sua città, aveva già dimostrato di cos’era capace: classe, forza, l’inclinazione a non tirarsi mai indietro. Era una gioia per gli occhi già da giovanissimo, e al tempo stesso era già molto sicuro delle sue doti: a diciott’anni, avrebbero raccontato i suoi vecchi compagni di squadra, rifiutava di scendere in campo con numeri di maglia diversi dal 9. Già allora, voleva incarnare, anche simbolicamente, l’immagine dell’attaccante spietato. Quando arrivò al Real, il nove era di Ronaldo, e dovette accontentarsi dell’undici: ma ci mise appena un anno a prendersi il numero preferito, con il portoghese che tornò al suo marchio di fabbrica, il sette.

Il suo primo anno al Real andò così e così, nel secondo si accomodava ripetutamente in panchina. Mourinho cercava di solleticare l’orgoglio del suo giocatore: «Volevo aiutarlo a raggiungere il suo massimo livello, a farlo diventare un killer». Il rischio di disperdere un potenziale così scintillante non era scontato. Al Real lo sapevano bene: anni prima, al Bernabéu transitò un altro grande attaccante francese – Nicolas Anelka. Durò lo spazio di una stagione, nel 1999/2000, e due gol solitari in campionato. «Tutti i giocatori erano contro di me, la pressione era troppo alta ed ero sui giornali tutti i giorni», avrebbe raccontato anni dopo in un documentario su Netflix. «Anche dopo il mio gol al Barcellona, tornai in panchina. Così un giorno, prima di un allenamento, chiesi di parlare ai dirigenti, ma loro non mi stettero a sentire. Così saltai l’allenamento, e andai allo scontro».

Anelka aveva all’incirca la stessa età di Benzema, quando nel 2010, con l’infortunio di Higuaín, divenne il nuovo attaccante titolare del Real Madrid. Nelle prime 19 giornate di campionato aveva segnato una sola rete. Poi, come per incanto, sarebbero arrivate quattordici reti nella seconda parte di stagione, comprese tre doppiette consecutive in Liga. Il dualismo creato da Mourinho aveva funzionato. Lo stesso Higuaín, ripensandoci, avrebbe detto: «Al Real segnai 27 gol e l’anno dopo presero Benzema. Mi dicevo: ma come, quanti gol avrei dovuto segnare? Però devo ammetterlo: Karim ha tirato fuori il meglio di me. E io ho fatto lo stesso con lui. È stata una concorrenza sana, ci ha fatto migliorare entrambi».

All'ombra di CR7

Dai nove gol stagionali della prima stagione in Spagna, Benzema è passato rapidamente ad accumulare ben altri numeri sotto il profilo realizzativo: 26 e 32 nei successivi due anni. È sceso sotto la quota dei venti stagionali soltanto nel 2016/17 e nel 2017/18: gli anni dell’one-man-show madridista orchestrato da Cristiano Ronaldo. Se pure le vette realizzative del portoghese erano state allucinanti già nelle stagioni precedenti, quando aveva ripetutamente abbattuto la quota dei cinquanta gol tra tutte le competizioni – facendo addirittura 61 nel 2014/15! –, nel suo finale madrileno Ronaldo ha definitivamente rubato lo spazio a Benzema. Materialmente: la vecchia ala sinistra che imperversava sulla fascia a suon di finte e dribbling era diventato, adesso, la macchina da guerra offensiva più fenomenale che si fosse mai vista. Il povero Benzema era stato declassato al ruolo di semplice scudiero, costretto ad apparecchiare l’area di rigore per l’ingombrante coinquilino: un agevolatore di gol (di Ronaldo), piuttosto che un realizzatore in prima persona.

Un ruolo da comprimario che ha inevitabilmente messo in ombra le qualità del francese. Se gli addetti ai lavori continuavano comunque a individuarne le sapienti giocate, sottolineando i movimenti senza sosta, la capacità di aprire gli spazi per i compagni, i tocchi vellutati che mettevano fuori gioco anche le difese più attrezzate, le vittorie del Real Madrid continuavano ad avere un solo nome: Cristiano Ronaldo. È stato soltanto con la partenza di quest’ultimo in direzione Juventus che Benzema è passato dall’essere un «sacrificio umano» in versione calcistica – brillante definizione di Jonathan Liew sul Guardian – a leader su cui ricostruire le ambizioni del Real Madrid nel post-CR7. 

Senza il portoghese, l’ultratrentenne Benzema ha messo in fila questi numeri a livello di gol: 30, 27, 30, 44. Tra attaccanti-delusione (Jovic, Mariano), trascinatori mancati (Hazard), youngsters da accompagnare sull’altare dei grandissimi (Vinicius, Rodrygo) e colpi di mercato sfumati (Mbappé), il francese ha rappresentato il trait d’union perfetto tra il Real Madrid galattico in grado di vincere quattro Champions tra il 2014 e il 2018 e quello tornato a trionfare in Europa nella scorsa stagione.

Le disavventure extra-campo

Nel corso di questa lunga parabola, non ci sono stati solo i rivali in campo da affrontare. Nel 2010, l’anno più complicato, Benzema si mise nei guai per una storiaccia: finì sotto inchiesta, insieme a Franck Ribery, suo compagno di Nazionale, per aver avuto rapporti sessuali in cambio di denaro con una ragazza minorenne. La saga giudiziaria si esaurì soltanto quattro anni dopo, con il proscioglimento dei due giocatori, perché non v’erano sufficienti prove sul fatto che fossero a conoscenza dell’età della ragazza.

La polvere di questo scoppio non si era ancora depositata quando Benzema rimase coinvolto in un’altra vicenda giudiziaria, stavolta con ripercussioni ancora più pesanti: nel 2015 fu trattenuto dalla polizia francese perché accusato di essere stato uno degli autori di un ricatto nei confronti di Mathieu Valbuena, suo compagno di Nazionale. Nello specifico, Benzema sarebbe stato il tramite dei ricattatori, che avrebbero avuto tra le mani un video a luci rosse di Valbuena. Una storia che si è conclusa soltanto un anno fa, con la condanna di Benzema a un anno di reclusione (con la condizionale). Nel frattempo, però, la vicenda ha pesato direttamente sulle questioni di campo, oltre a macchiare l’immagine pubblica dell’attaccante: il madridista è stato infatti escluso dalla Nazionale francese, rimanendone ai margini per quasi sei anni e mancando l’opportunità di diventare campione del mondo nel 2018. Deschamps lo ha richiamato soltanto nel 2021, in occasione degli Europei, a chiudere una pagina nefasta della carriera dell’attaccante.

La consacrazione tardiva

L’avventura dei francesi all’Europeo non è andata benissimo, ma adesso Benzema ha l’occasione di ripresentarsi al Mondiale senza più quella sensazione di intruso o negletto che ronzava attorno a lui fino a un anno fa – e con un Pallone d’Oro in più. Conquistato prima del suo partner offensivo Kylian Mbappé: l’uomo che – presumibilmente insieme a Erling Haaland – dominerà il calcio mondiale negli anni a venire. A quanto pare, però, il tempo della Gen Z nel calcio non è ancora arrivato: la vittoria del 34enne Benzema segue quelle di Leo Messi (coetaneo del francese), di Ronaldo e di Modric (entrambi di due anni più grandi). L’Ancien Régime non è ancora stato abbattuto, quello del Real Madrid men che meno, con sei giocatori vincitori nelle ultime nove edizioni.

Proprio nel finale di carriera, Karim Benzema ha assaggiato la gloria personale come mai gli era successo in precedenza. È la sottolineatura di un campione fenomenale, uno degli attaccanti più letali e al tempo stesso eleganti, tecnici, affascinanti che si siano mai visti su un campo da calcio. Si è scontrato nel corso della sua vita con numerosi ostacoli, è inciampato in vari incidenti di percorso, è andato vicinissimo a disperdere la sua meraviglia calcistica. Il suo processo di redenzione è stato totale: oggi è campione, icona, totem. Ha da poco chiuso un accordo con Fendi, per cui è stato testimonial nell’ultima campagna delle sneaker Faster. Ha riportato il calcio al centro del suo mondo, e il calcio lo ha eletto suo sovrano incontrastato. Proprio quando meno c’era da aspettarselo, Karim Benzema è entrato nell’Olimpo dei più grandi.