Ospitale di Cadore, «Papà si era perso nove mesi prima, cuore e istinto mi condussero a trovare il corpo»
I soccorritori l’avevano cercato invano con squadre, cani molecolari, droni e anche robot subacquei. La figlia non si era mai arresa
Cuore e istinto possono essere più forti di qualsiasi tecnologia. Tre anni fa, Monica Ghirardo trovò il papà Giocondo, a nove mesi dalla sua scomparsa, in un bosco sopra Ospitale. I soccorritori l’avevano cercato invano con squadre, cani molecolari, droni e anche robot subacquei. L’escursionista di Vittorio Veneto non dava più notizia dall’8 giugno 2018: «Una data che non dimentico», sottolinea Monica, «è come fosse ieri. Mio padre era andato a cercare lumache nella zona di Davestra di Ospitale e non eravamo preoccupati, perché era un grande camminatore, capace di staccarmi in montagna. Quella sera non è tornato a casa ed è cominciato per noi un lungo calvario».
Ricerche a tappeto per alcuni giorni, poi l’inevitabile interruzione, ma non per lei: «Per un mese e mezzo, sono andata a cercarlo tutti i giorni, perdendo 15 chili di peso. Ci ho sempre creduto, ma sembrava quasi che papà non volesse farsi trovare in quelle condizioni».
Monica Ghirardo le ha provate tutte, fino all’ultima energia: «Ho interpellato una sensitiva di Vazzola, che mi ha confermato che non era il momento, ma un giorno l’avrei senz’altro trovato. È successo ed è stata una liberazione, malgrado un dolore lacerante».
Le ricerche ufficiali non sembravano aver tralasciato dettagli: «Sono convinta che, in caso di scomparsa, sia più necessaria la qualità della quantità. E i soccorritori dovrebbero ascoltare un po’ di più i familiari, cioè quelli che conoscono meglio di chiunque altro lo scomparso. Sono stati usati anche i robot subacquei sperimentati per la nave Costa Concordia, all’isola del Giglio, ma niente da fare. Il Piave ci ha confuso invece di aiutarci, malgrado io tornassi ogni giorno a casa con qualcosa da sottoporre all’attenzione di mia madre. Forse sarebbero stati più utili i cani da cadavere, che in altri Paesi si utilizzano».
Nove mesi dopo, l’incontro che non vorresti mai fare. È possibile dire cosa ha provato? «Il mio compagno Lucio aveva visto qualcosa di verde nel bosco con il cannocchiale e ho capito che potevano essere gli stivali che papà aveva comprato il giorno stesso della scomparsa. Quando me lo sono trovato davanti mummificato, non so cosa ho sentito, di sicuro l’ho baciato. Difficile descrivere quegli istanti: da un lato il dolore e dall’altro la fine di una lunga agonia».
C’è anche qualche recriminazione: «Era in un luogo non interessato dalle ricerche, che avevano preso in esame zone più a monte o a valle. E non saprò mai di cosa è morto, perché la salma non è stata trattata con le dovute cautele, una volta messa in un sacco. È arrivata a valle dilaniata. Credo sia stato un infarto».
Il legame tra Giocondo e Monica è fortissimo: «Sono appena tornata dal cimitero. Vado a salutarlo spesso. È stato un uomo importantissimo per me e ci siamo sempre voluti un gran bene».