Processo all’ex anestesista di Trieste accusato di aver ucciso 9 anziani, la difesa: «Le iniezioni di Campanile non erano mortali»
La discussione di 8 ore in Corte d’assise: sentenza il 3 febbraio. Parola alla difesa: per gli avvocati dell’ex anestesista è escluso che il Propofol abbia accelerato il decesso dei nove anziani
TRIESTE «Il Propofol non ha raggiunto il cervello dell’ottantunenne Mirella Michelazzi, quindi non ha prodotto il minimo effetto e non può dunque neppure averne provocato la morte. Medesima conclusione vale per gli altri otto casi, per i quali non è stato neppure possibile valutare se la dose inoculata sia stata congrua e abbia raggiunto il tessuto celebrale». È durata otto ore la discussione in Corte d’Assise (presidente il giudice Giorgio Nicoli, a latere Francesco Antoni) degli avvocati Alberto Fenos e Manlio Contento in difesa di Vincenzo Campanile, l’ex anestesista del 118 di Trieste accusato di aver ucciso nove anziani tra il 2014 e il 2018 con iniezioni letali di Propofol.
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Nel processo che i legali hanno definito “scientifico”, il confronto ruota attorno a due punti cardine: Campanile utilizzando quel farmaco ha accelerato la morte di quegli anziani? Ha volutamente inoculato una dose di farmaco tale da provocarne la morte o ha avviato una sedazione paliativa a pazienti che stavano per morire? Il caso chiave è quello della paziente Michelazzi.
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L’indagine, infatti, era partita in seguito alla morte dell’81enne, soccorsa dal medico il 3 gennaio 2018 nella casa di cura Mademar. I colleghi del medico avevano segnalato il caso all’Azienda sanitaria, che aveva dunque fatto aprire un’inchiesta che è risalita agli altri otto casi. «Ma è stato possibile analizzare solo il tessuto celebrale della signora Michelazzi (in alcuni casi le persone decedute erano già state cremate, in altri il tessuto celebrale si era già degradato) – ha ricordato Fenos – e in 5 casi su 9 non v’è prova che sia stata inoculata dose congrua, potendo esservi stata sedazione blanda con mantenimento del respiro spontaneo».
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Fenos e Contento, ribadendo che per capire se la dose di Propofol inoculata sia superiore a quella indicata dalle tabelle dell’Aifa ci si debba affidare alla concentrazione trovata in sede celebrale e non ematica, hanno evidenziato quanto sostenuto anche dai consulenti della difesa – il professor Franco Tagliaro, il professor Enrico Polati e il dottor Luciano Orsi –, ovvero come nel caso Michelazzi «le concentrazioni di Propofol trovate a livello celebrale non siano riuscite nemmeno a lambire il cervello».
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Ma il Propofol somministrato ad un paziente morente davvero accelera la morte? «La scienza dice di no», ha ribadito Fenos, che ha anche tratteggiato l’ambiente in cui è maturata la denuncia a carico di Campanile, parlando di «tinte fosche che hanno fatto nascere i sospetti». L’avvocato Contento ha fatto notare come il medico del 118, nei diversi casi, «si sia informato delle condizioni dei pazienti, abbia messo in atto interventi come l’aspirazione aerea, la rianimazione cardio-polmonare e solo rendendosi conto non ci fosse più nulla da fare effettuava una sedazione terminale».
Tema, quest’ultimo, di fronte al quale per Contento emerge in Asugi «un’arretratezza culturale». Nell’udienza dello scorso 11 novembre i pm Cristina Bacer e Chiara De Grassi avevano chiesto per l’imputato 25 anni e 6 mesi di reclusione. I parenti delle presunte vittime si sono costituiti parte civile con gli avvocati Antonio Santoro, Maria Genovese e Giuliano Iviani. L’Asugi, assistita dall’avvocato Giovanni Borgna, è presente nella doppia veste di parte civile e responsabile civile. La prossima udienza è fissata per il 3 febbraio prossimo. In quella data, dopo aver lasciato spazio alle repliche, la Corte si chiuderà in Camera di Consiglio e poi si pronuncerà sulla colpevolezza o meno di Campanile. —
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