Violenze sessuale alla figlia e alle amiche, 7 anni di carcere al padre orco dell’area termale
foto da Quotidiani locali
Sette anni di reclusione con i benefici del rito abbreviato. È la pena alla quale è stato condannato venerdì dal giudice Domenica Gambardella un ex barista cinquantaduenne, residente in un comune delle Terme per violenza sessuale aggravata nei confronti della figlia e di sue due amichette. L’inchiesta era stata coordinata dal pubblico ministero Roberto Piccione che aveva sollecitato 6 anni di pena per l’imputato. Il giudice ha optato per una pena ancor più pesante, decidendo anche di condannare l’imputato ad un anno di libertà vigilata all’espiazione della pena, ritenendolo socialmente pericoloso.
Di rilievo anche i risarcimenti decisi: 100 mila euro alla figlia e 60 mila euro all’amica costituitasi parte civile. Nulla invece alla terza persona offesa che non si era costituita. Inoltre all’imputato viene fatto divieto di ricoprire lavori che lo mettano in contatto con minori. L’imputato, attualmente in carcere a Verona era difeso avvocati Leonardo Arnau e Pietro Sartori che avevano evidenziato delle contraddizioni nel racconto di due delle tre ragazzine nate rispettivamente nel 2000, 2003 e 2004 (le violenze erano avvenute anche quando erano ancora minorenni). La figlia dell’uomo era assistita dall’avvocato Michele Chiaramida che aveva chiesto un risarcimento di 100 mila euro, riconosciuto dal giudice e un’amica, la più piccola, assistita dall’avvocato Francesco Cibotto, che ha reclamato un ristoro di 200 mila euro, ridimensionato a 60 mila euro. Le violenze assumono rilevanza penale nel 2021 quando l’amica 17enne della figlia dell’uomo fa una confidenza alla psicologa dell’Unità operativa complessa della Psichiatria dell’Azienda ospedaliera di Padova che la segue da un paio d’anni dopo essere entrata nel tunnel dell’anoressia. È proprio durante una delle sedute di terapie che la ragazzina racconta le molestie subite dal padre dell’amica tra il 2018 e il 2019, quando aveva tra i 14 e i 15 anni: capitava che in piena notte lui entrava nella cameretta dove dormivano assieme, infilava le mani sotto le lenzuola e poi le alzava la camicia violando il suo corpo inerme nella parti più intime.
La psicologa fa una segnalazione in procura e il caso finisce sul tavolo del magistrato che affida le indagini alla polizia. Le ragazze vengono ascoltate dagli investigatori in una situazione “protetta” con l’ausilio di una psicologa. E pure la figlia ricostruisce quelle violenze patite tra i 10 e i 16 anni, nel periodo 2013-2019, costretta a toccare il padre in una occasione; la terza vittima, che ha deciso di non partecipare al “processo”, avrebbe subito le violenze a 15 anni da lei raccontate nel dettaglio. Emergono particolari scabrosi che le hanno segnato la vita. Durante il processo il 52enne fa una parziale ritrattazione cercando di giustificarsi con il fatto che in quegli anni avrebbe abusato di cocaina (ha dei precedenti per spaccio). In precedenza durante un interrogatorio con il magistrato aveva comunque ammesso gli episodi contestati. In una intercettazione telefonica inoltre, mentre parlava con la moglie, aveva ammesso che la figlia nella ricostruzione delle violenze contestate non mentiva.