La “Musica da camera” che Joyce scrisse a Trieste è anche dei vasi da notte
foto da Quotidiani locali
TRIESTE. Mentre quest'anno joyceano per eccellenza si avvia alla chiusura, arrivano in libreria due novità che scandagliano il Joyce minore, non quello geniale dell'”Ulisse”, ma quello meno acclamato dei componimenti poetici. Si tratta di una nuova traduzione di “Musica da camera” di James Joyce a cura di Andrea Carloni (Castelvecchi, pp. 104, euro 15) con una postfazione di Enrico Terrinoni, e della miscellanea “Rime parodiche e giocose” di James Joyce, introduzione, traduzione e note di Francesco Muzzioli (Lithos Editrice pp. 162, euro 13), entrambe rigorosamente con testo a fronte.
Due sguardi complementari a produzioni poetiche di stile e carattere opposto: da una lato la giovanile rivisitazione delle canzoni d'amore dell'era Elisabettiana in chiave decadente e simbolista (le chiome di lunghi capelli si sprecano), dall'altro i componimenti d'occasione, 'divertissements' dissacranti e polemici che Joyce scrisse nel corso di tutta la sua vita. Lo scrittore irlandese pubblicò “Chamber Music” nel 1907, quando viveva a Trieste.
Il titolo è solo apparentemente aulico e sognante perché (come sempre in Joyce) nasconde un risvolto ironico e prosaico legato alla “musica” che si poteva ascoltare all'epoca in cui in camera si usavano i vasi da notte... Per questo primo ciclo di poesie joyceane Andrea Carloni sceglie di rispettare la rima anche nella versione italiana, scelta che – se da un lato lo costringe a distaccarsi talvolta dall'originale – gli permette però di mantenerne il ritmo e la musicalità.
Autore della raccolta di racconti “Chi mai in qualche dove” (&My Book) e del romanzo “Lissy è stata qui” (Leonida), Andrea Carloni, nato a Roma nel 1977, vive e lavora in provincia di Vicenza dove s'occupa di trasporti. Grande appassionato di lettura, in particolare d'autori come Borges, Faulkner, Hawthorne, Kafka e Poe, gestisce il canale video su Youtube “Ritratto di Ulisse”. La sua sensibilità musicale, da tipico amante del melodramma verdiano e del verismo da Mascagni a Leoncavallo, rende più espliciti ad esempio i riferimenti a strumenti musicali, evocati soprattutto nelle prime poesie della raccolta “Musica da camera” in cui sentiamo risuonare archi, pianoforti, arpe, percussioni, fiati, corni e il canto degli amanti che s'intreccia come i rami del salice lungo le rive del fiume dove “s'aggira Amore”. Nella postfazione, Enrico Terrinoni porta alla luce un episodio poco noto della storia delle traduzioni: la versione in spagnolo delle ultime poesie di questo ciclo ad opera di Neruda, nel 1933, poiché “tradurre la poesia si può solo con la poesia.”
Altrettanto interessante è la proposta del critico letterario Francesco Muzzioli. Nato a Roma nel 1949, Muzzioli ha insegnato critica letteraria all'Università 'Sapienza' di Roma, autore di saggi, ha collaborato a riviste come 'Alfabeta' e 'Avanguardia'. In “Rime parodiche e giocose”, di James Joyce, Mazzioli traduce e commenta i componimenti “ludici”, satire, parodie, 'nonsense', ma anche tre brani in versi da “Finnegans Wake”, l'apice del 'joking Joyce'. Le sorprese sono spassose. Come una poesiola scritta nel 1925 in cui Joyce si prende amabilmente gioco del celebrato poema di T.S. Eliot “La terra desolata” e che qui suona: “Rouen è il luogo più piovoso, deride/ tutti gli impermeabili, intride/ zuppe midolla in ossa infradiciate./ L’inverno ci annaffiò verso Le Mans./ Nostro hotel a Niort era Uva di Borgogna,/ ma i torchi del Signore tuonarono sull’uva di Borgogna e noi smammammo, che scalogna!”.