Il compositore triestino Viktor Parma da riscoprire cento anni dopo

L’anniversario della morte del grande compositore di opere liriche triestino di padre sloveno, dimenticato a lungo dai suoi due Paesi

TRIESTE Epitome delle devastanti logiche che, in queste terre, hanno subordinato anche la cultura a visioni nazionali e ideologiche, è la figura del triestino Viktor Parma, autore di composizioni di varia natura, soprattutto operistica, in quattro lingue diverse.

Un musicista di vaglia, gerarchizzato negativamente per ragioni etniche e politiche, oggi pressoché sconosciuto nella sua città natale, e poco noto anche in Slovenia. Le sue traversie personali illuminano sulle vicissitudini patite nel ’900 dall’Alto Adriatico.

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Parma nasce il 20 febbraio 1958, in piazza Barbacan 1, da padre sloveno, commissario superiore dell’I.R. polizia, e madre veneziana, Matilde de Mattei, imparentata con l’arcivescovo croato Strossmayer.

Per questo fecondo incrocio di valenze, e per i trasferimenti del padre in varie città dell’Impero, il giovane Viktor si trova a parlare quattro lingue: il tedesco, l’italiano, il croato e lo sloveno. E’ in quest’ultima identità che si riconosce: pur partecipe di più mondi, “austriaco” nel senso europeo di allora, giovanissimo, intitola una delle sue prime composizioni Slovenska Duša (Anima slovena).

Segue il padre, a Novo Mesto, Trento, Klangenfurt e Lubiana, in ogni luogo fonda e dirige un complesso orchestrale di studenti, poi studia diritto a Vienna (oltre che musica, con Bruckner). Una volta laureato, segue le orme del padre al Ministero degli Interni, e inizia la vita girovaga dei funzionari di polizia (Trieste, Lubiana, Kocevje, Kranj, Krsko, Litija, Logatec, Kamnik, Črnomelj), dedicando però alla musica, sua passione prima, tutto il tempo libero.

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Se nella sua città natale, per il crescente nazionalismo italiano, era stato malvisto come sloveno, a Lubiana verrà considerato “straniero”, perché triestino e meticcio.

Sposatosi con Pavla Pavšin, che gli darà sei figli, Parma si cimenta con l’opera lirica. Scrive Uhr, conte di Celje, storia di un nobile imprigionato dai paesani per aver insidiato una fanciulla alla vigilia delle nozze. Il grande successo di pubblico, non è condiviso dalla critica, che lo considera, oltre che “dilettante straniero”, troppo influenzato dalla musica italiana.

Un’altra opera, Ksenija, trionfa all’Opera di Zagabria, il cui teatro gli commissiona un lavoro a scatola chiusa: sarà L’antica canzoncina (su testo, italiano, di Guido Menasci, librettista di Mascagni).

Paradossalmente, se non è abbastanza sloveno per i lubianesi, altrove Parma verrà considerato “fratello slavo” e i suoi lavori saranno messi in scena a Belgrado come a Praga.

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A parte “Uhr”, le opere si concludono tragicamente: gli amanti murati vivi, la fanciulla uccisa mentre si frappone tra due fratelli, il cacciatore che precipita dalla montagna. Ma a questa vena se ne contrappone una brillante, espressa soprattutto dalle operette. Come Le amazzoni della zarina (storia di un clan protofemminista che si ribella allo strapotere maschile), e Il tempio di Venere, ambientata in una maison parigina che, al sopraggiungere della polizia, si trasforma in scuola di musica, con le entraineuse intente a strimpellare qualche strumento.

Nell’estate 1914, a Litija, per una pubblica dichiarazione di ostilità alla guerra appena dichiarata, Parma è processato. Ne esce assolto, ma “aiutato” ad andare in pensione.

Passa gli anni del conflitto a Vienna, dove prende forma la sua opera più alta, “Zlatorog”, che intreccia leggende alpine con una tragica storia d’amore ambientandola nel santuario naturale del popolo sloveno: il Triglav.

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Alla dissoluzione dell’Impero, come il protagonista di Kapuzinergruft di Roth (“Wohin soll ich jezt, ein Trotta?”), Parma si pone anche a lui la scelta di una collocazione nella nuova Europa frantumata.

Per due anni gli viene vietata l’immigrazione a Lubiana, in quanto nativo di Trieste, ormai appartenente a un altro stato. Però, se il capoluogo lo tratterà con distacco, Maribor invece ne riconoscerà il valore, chiamandolo alla direzione del Teatro dell’Opera, retto sino alla scomparsa, avvenuta il giorno di Natale del 1924, nel corso di un’operazione per cancro alla prostata.

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Altri fattori contribuiranno in seguito a sminuire la figura e l’opera di Viktor Parma (oltre alla scelta di un librettista tedesco per “Zlatorog”): la messa in scena di una sua opera da parte degli invasori nazisti (oltre vent’anni dopo), e le incaute parole del figlio Bruno, che, liberato dal campo di Gonars e rientrato a Lubiana, si dichiarerà sloveno, antifascista e antinazista, ma non per questo comunista.

“Musica reazionaria” gli spartiti di Parma verranno in qualche modo ripudiati e mandati a Trieste, dove rimarranno abbandonati in un magazzino sino agli anni ’80, quando l’Università di Lubiana ne chiederà la restituzione. Si tratta di materiale in parte inedito e in alcuni casi mai eseguito, che il centenario offre l’occasione di riscoprire e valorizzare.

In questo senso il Circolo della Stampa di Trieste sta predisponendo un programma, in collaborazione con il Comune, il Conservatorio “Tartini”, la “Glasbena Matica”, la Facoltà di Musica dell’Università di Lubiana, Ca’ Foscari di Venezia, il Centro per l’educazione musicale “Komel” di Gorizia e l’Associazione internazionale dell’Operetta.