Morto dopo un intervento alla Città di Pavia, tre medici vanno a processo
Il 53enne era stato operato alla schiena. Secondo l’accusa non avrebbe ricevuto la terapia anticoagulante che avrebbe evitato un’embolia fatale
PAVIA. Un intervento alle vertebre, eseguito con successo alla clinica Città di Pavia. Poi sei giorni di ricovero in cui, secondo l’accusa, il paziente, rimasto sempre allettato, non avrebbe ricevuto la necessaria terapia anticoagulante. Massimo M., 53 anni, originario di Pontedera, in provincia di Pisa, era morto all’improvviso il 31 luglio 2022, per una trombo-embolia polmonare. E ora su questa vicenda il giudice Guglielmo Leo ha deciso che si farà un processo.
La procura aveva chiesto l’archiviazione per i tre medici - due chirurghi e un ortopedico - che avevano avuto in cura il paziente, ma i familiari dell’uomo si erano opposti e ieri mattina il giudice ha deciso per il rinvio a giudizio. I chirurghi Fulvio Tartara, Andrea Todesca e l’ortopedico Paolo Gaetani dovranno affrontare così il dibattimento, che comincerà il 28 giugno davanti alla giudice Elena Stoppini. L’accusa, ancora tutta da provare, è di omicidio colposo. Nel processo il fratello e la sorella della vittima si sono costituti parte civile con l’avvocata Maria Chiara Bolzoni, che ha presentato l’opposizione alla richiesta di archiviazione della procura.
La ricostruzione
La vicenda risale al 2022. L’uomo sceglie la clinica di Pavia per eseguire un intervento alla colonna vertebrale. L’operazione chirurgica, effettuata dai due medici chirurghi il 25 luglio, va bene e il paziente resta ricoverato in clinica per la fase post-operatoria. In questa fase, secondo l’accusa, qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto. All’uomo, infatti, non viene somministrata la terapia con anticoagulanti a base di eparina, finalizzata proprio a evitare il rischio tromboembolico. In più, sempre secondo la ricostruzione dell’accusa, l’uomo non sarebbe stato mobilizzato. La situazione precipita sei giorni dopo l’intervento, quando il paziente comincia a sentirsi male. È lui stesso a chiedere aiuto, ma quando il personale della clinica interviene le condizioni sono già disperate. L’uomo muore, lasciando nell’angoscia i familiari. L’autopsia mette in luce la causa: «Insufficienza respiratoria acuta terminale condizionata da trombo-embolia polmonare massiva in soggetto pluripatologico».
La perizia e l’iter giudiziario
Il magistrato Alberto Palermo apre un’indagine e sulla scorta della denuncia dei familiari dell’uomo dispone una perizia. Il consulente conclude senza arrivare a una certezza assoluta sul nesso di causa tra la mancata terapia e la morte del paziente. Il fascicolo passa di mano alla magistrata Diletta Balduzzi, che sulla base di questa conclusione chiede l’archiviazione per i due chirurghi e anche per l’ortopedico che aveva seguito il paziente nella fase post-operatoria (difesi dagli avvocati Domenico Noris Bucchi, Alessandra Stefano e Alberto Assanelli). La famiglia si oppone all’archiviazione e la gip Maria Cristina Lapi ordina al magistrato di formulare l’imputazione. Ieri il passaggio in udienza preliminare, dove il gup Leo ha deciso per il processo.