Morì a 36 anni, il vaccino contro il Covid non c’entra: caso archiviato, prosciolti due sanitari

PORDENONE. Un padre di famiglia morì nel sonno a 36 anni, il 1° settembre di due anni fa. Il 31 agosto 2022 gli era stata somministrata la seconda dose del vaccino Moderna (la prima il 3 agosto). L’indagine, aperta dalla procura di Pordenone per l’ipotesi di omicidio colposo, è stata definitivamente archiviata.

Per sondare anche eventuali correlazioni fra il decesso di Marco Piu, residente a Cimpello, con l’inoculazione del vaccino, avevano ricevuto l’avviso di garanzia l’infermiera e il medico che avevano somministrato rispettivamente la prima e la seconda dose del siero.

[[ge:gnn:messaggeroveneto:5297570]]

Lo stesso sostituto procuratore Federico Baldo aveva chiesto l’archiviazione del caso al gip, all’esito della prima consulenza dell’anatomopatologo Sandro Sulfaro, non avendo riscontrato alcun profilo di responsabilità medica.

Nel quesito posto al consulente si chiedeva di esaminare anche la correlazione fra il decesso e eventuali patologie dell’uomo. I familiari avevano nominato un proprio consulente di parte in questa prima fase di accertamenti irripetibili.

All’udienza davanti al gip in cui si affrontava la richiesta di archiviazione del pm il collegio difensivo – l’avvocato Alessandro De Paoli per l’infermiera, l’avvocato Luca Ponti per la dottoressa – aveva insistito per l’immediata definizione del procedimento per assenza del nesso di causalità fra la somministrazione del vaccino e il decesso del 36enne.

La difesa aveva evidenziato l’assenza di qualunque profilo di colpa a carico dei sanitari indagati, oltre che in forza dello scudo penale introdotto dalla legislazione speciale Covid.

Il gip, però, aveva chiesto un secondo approfondimento medico legale. L’incarico era stato affidato a Alfonso De Maglio, specialista in medicina legale e a Stefano Pizzolitto, specialista in anatomia patologica.

I due professionisti hanno accertato l’assenza di una correlazione causale fra il vaccino e il decesso o in ogni caso non c’è prova del nesso, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche.

L’avvocato De Paoli ha osservato che la sua assistita, «infermiera in pensione che all’epoca dell’emergenza si era spontaneamente offerta, così come tanti altri sanitari, per il meritevole servizio di somministrazione dei vaccini, non nega di aver vissuto un periodo di grande ansia e apprensione a causa del procedimento penale a suo carico».